«Presto carceri sovraffollate come nel 2006»

Novantaduemila ingressi nell’arco di un anno. Per Sebastiano Ardita, direttore dell’area detenuti e trattamento del Dap, il Dipartimento dei penitenziari, è questo il dato più drammatico dell’emergenza carceri.
Perché, dottor Ardita?
«Perché in questo modo è impossibile programmare seriamente la vita nei penitenziari. Più che di prigioni, dovrei parlare di alberghi. Trentacinquemila detenuti restano in cella meno di un mese. Ma con questo flusso, con questo andirivieni, che rapporto vuole instaurare con i carcerati? E come è possibile lavorare per avviare un programma di recupero?»
Vuol dire che al massimo nelle carceri italiane si sopravvive?
«Purtroppo in questa situazione il carcere peggiora le persone».
Ma quasi 50mila detenuti non sono troppi?
«Io credo che potremmo anche gestirli, ma non in questo contesto. Cinquantamila carcerati con una condanna definitiva potrebbero essere accolti in un modo più adeguato, ma con passaggi rapidissimi, con uno smistamento continuo, è difficilissimo andare oltre il piccolo cabotaggio quotidiano».
Il Sappe «vede similitudini con l’emergenza Napoli». È colpa dei politici?
«Occorre riformare i codici.

E il sistema processuale: oggi c’è troppo carcere preventivo, le condanne definitive invece sono virtuali».
Mille carcerati in più al mese. Torneremo al sovraffollamento del 2006?
«Sì, se non succede qualcosa. E sono gli stranieri ad aumentare. Con una progressione geometrica».

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