Pensioni, prorogato il “bonus Giorgetti”: più soldi in busta paga per chi resta al lavoro

Nel testo della Legge di Bilancio 2026 la conferma dell’incentivo che consente di trattenere i contributi propri. Obiettivo: frenare le uscite e ridurre la spesa previdenziale

Pensioni, prorogato il “bonus Giorgetti”: più soldi in busta paga per chi resta al lavoro
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La linea del governo è chiara: allungare la permanenza dei lavoratori nel mercato del lavoro e ridurre la pressione su un sistema pensionistico già sotto stress. È in quest’ottica che la Legge di Bilancio 2026, ora bollinata e in attesa del passaggio alle Camere, conferma il “bonus Giorgetti”, l’incentivo destinato a chi decide di restare in servizio nonostante abbia già maturato i requisiti per la pensione anticipata. Lo strumento, erede del precedente “bonus Maroni”, consente al lavoratore di trattenere in busta paga la quota dei contributi previdenziali normalmente versata all’Inps. In sostanza, una parte dello stipendio lordo – quella a carico del dipendente – diventa reddito immediato, esente da tasse e contributi, e quindi interamente spendibile.

Chi può richiederlo

Il beneficio interessa i dipendenti pubblici e privati iscritti all’Assicurazione generale obbligatoria o ai fondi sostitutivi ed esclusivi. Può farne richiesta chi ha raggiunto i requisiti per la pensione anticipata, fissati in 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne. Chi sceglie di rimanere al lavoro può presentare domanda telematica all’Inps. Da quel momento, la propria aliquota contributiva – circa il 9,19% del lordo nel privato e l’8,89% nel pubblico – viene corrisposta direttamente in busta paga, anziché versata al sistema previdenziale. Il datore di lavoro continua invece a sostenere la propria quota (pari al 23,81%), che resta a beneficio dell’Inps. Restano esclusi i pensionati, a eccezione di chi percepisce assegni d’invalidità, e chi ha già presentato richiesta di pensionamento diretto.

Cosa cambia nel 2026

La Manovra 2026 proroga la misura fino al 31 dicembre del prossimo anno, estendendo la possibilità di accesso anche a chi maturerà i requisiti entro quella data. Il riferimento normativo resta l’articolo 1, comma 161, della Legge 207/2024, che aveva già ampliato la platea dei beneficiari. Si tratta di un tassello della strategia complessiva del governo per favorire il posticipo dell’uscita dal lavoro, soprattutto tra i profili più esperti, in un contesto in cui la sostenibilità del sistema pensionistico dipende sempre più dal tasso di occupazione delle fasce senior.

L’impatto in busta paga

Il vantaggio economico è concreto. Un dipendente con uno stipendio lordo di 2.000 euro al mese può contare su circa 180-190 euro netti aggiuntivi ogni mese, per un totale annuo di oltre 2.000 euro, a seconda del contratto di riferimento. L’importo non concorre alla formazione del reddito imponibile, come previsto dall’articolo 51, comma 2, i-bis del Tuir, e dalle circolari di Inps e Agenzia delle Entrate che ne hanno confermato la piena esenzione fiscale.

Nessun costo aggiuntivo per le imprese

Per le aziende la misura non comporta aggravi: il datore di lavoro continua a versare la propria

quota di contributi e semplicemente non trasmette all’Inps quella trattenuta al dipendente, che viene invece erogata come importo netto. L’intero processo è subordinato all’autorizzazione dell’istituto previdenziale.

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