Pensioni, il rapporto CIDA-Itinerari Previdenziali: "Il sistema punisce i contribuenti più fedeli"

Il rapporto denuncia l'ingiustizia subita da chi ha versato di più: "Il contributo maggiore diventa la penalità maggiore. Più hai versato, più ti hanno tolto"

Pensioni, il rapporto CIDA-Itinerari Previdenziali: "Il sistema punisce i contribuenti più fedeli"

Questa mattina, presso la sede della CIDA - Confederazione italiana dei dirigenti e delle alte professionalità di Roma, in via Barberini 36, è stato presentato il rapporto "La svalutazione delle pensioni in Italia", studio realizzato dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali in collaborazione con CIDA, che denuncia una svalutazione strutturale delle pensioni medio-alte, che danneggia ancora una volta soprattutto il ceto medio. Dallo studio è emerso che la nuova Legge di Bilancio, insieme alla fiammata inflazionistica del biennio 2023-2024, incide sulle pensioni superiori a 2500 euro lordi, che diventano poco meno di 2000 euro al netto delle imposte e la perdita legata alla mancata rivalutazione sarebbe quantificabile nei prossimi 10 anni in almeno 13mila euro.

Con questi dati, ha spiegato Stefano Cuzzilla, presidente della CIDA, nel suo discorso iniziale, emerge "con chiarezza quanto profonda sia l’ingiustizia subita da chi sostiene il Paese da decenni. Numeri che parlano da soli, che raccontano un paradosso inaccettabile e che ci obbligano a chiedere scelte politiche coraggiose". La perequazione applicata in Italia, è stato spiegato, "lungi dal premiare il merito", penalizza proprio chi ha più contribuito al sistema, che non è esente da possibili profili di incostituzionalità. "I lavoratori hanno diritto a una tutela che li accompagni nella vecchiaia. Le pensioni non sono un privilegio, ma salario differito: il frutto del lavoro, delle tasse e dei contributi versati. E come tale va garantito", ha ricordato Cuzzilla introducendo il rapporto e citando la Costituzione.

"In trent’anni le pensioni medio-alte hanno perso oltre un quarto del loro potere d’acquisto: una pensione da 10mila euro lordi al mese ha visto svanire quasi 180mila euro, l’equivalente di un anno intero di assegno. È il simbolo di un sistema che punisce chi ha dato di più, mortifica i contribuenti più fedeli e incrina il legame di responsabilità tra generazioni", ha commentato ancora Cuzzilla. Durante l'incontro è stato sottolineato che i provvedimenti di perequazione che sono stati effettuati dai governi che si sono succeduti negli ultimi 30 anni sono stati "accumunati dal principio secondo il quale le pensioni di importo inferiore tendono a godere di un meccanismo più favorevole e, nella sostanza, economicamente più generoso". Chi ha versato contributi "per una vita intera si è visto cancellare l’equivalente di un anno di reddito, come se un pezzo della sua vita lavorativa fosse sparito nel nulla".

Cuzzilla ha fatto notare che "solo 1,8 milioni di persone – meno del 14% del totale – versano da sole quasi la metà dell’IRPEF della categoria. In altre parole, un settimo dei pensionati rappresenta i contribuenti più fedeli, eppure sono proprio loro i più penalizzati dal blocco della perequazione. Al contrario, milioni di pensionati con trattamenti molto bassi – spesso frutto di pochi o nessun contributo – hanno beneficiato di rivalutazioni piene, tra il 100% e il 110%". Nel documento presentato a Roma sono state analizzate nel dettaglio le modifiche introdotte dalla legge di bilancio 2024, che ha peggiorato lo schema di rivalutazione per le prestazioni oltre 5 volte il trattamento minimo (TM). Per esempio, per gli importi superiori a 10 volte il TM, la rivalutazione è stata ridotta al 32% per il 2023 e ulteriormente al 22% per il 2024.

Cuzzilla ha definito questa situazione un "autentico rovesciamento del principio di equità" e affermato che "diventa un'ingiustizia quando la solidarietà ricade sempre sugli stessi mentre l'evasione resta impunita", considerando che il 65% dell’IRPEF non arriva all’Erario. "Per le quote pensionistiche calcolate con il metodo contributivo, destinate a crescere nel tempo, il rallentamento o il congelamento, anche temporaneo, della rivalutazione è da considerarsi alla stregua di un’imposta. Con il pensionato che riceve così non solo meno di quanto gli spetterebbe ma anche meno di quanto gli sarebbe necessario per contrastare l’aumento dei prezzi al consumo", ha spiegato il professor Alberto Brambilla, presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali.

Ovviamente, ci ha tenuto a sottolineare Cuzzilla, "aiutare chi è più debole è un dovere, e la classe dirigente non si è mai sottratta a questa responsabilità". È stata anche criticata la giurisprudenza della Corte Costituzionale che, pur avendo in passato raccomandato che i tagli fossero di breve durata e non ripetitivi, ha recentemente legittimato il meccanismo di raffreddamento della rivalutazione del 2023. Questa pronuncia è stata definita come una condanna della scelta di usare la perequazione automatica come "leva contabile per fare Cassa, alla stregua di un prelievo forzoso". I numeri dello studio, ha concluso Cuzzilla, "sono la fotografia di una distorsione che dura da decenni. Ci parlano di un sistema che rovescia ogni logica. Il contributo maggiore diventa la penalità maggiore. Più hai versato, più ti hanno tolto".

"Colpire chi ha versato quarant’anni di contributi non è solo un errore contabile. È un segnale politico e sociale devastante: significa dire ai giovani che domani il loro impegno non verrà riconosciuto. E allora non stupiamoci se cresce la sfiducia, se i nostri talenti guardano all’estero, se il patto tra generazioni si logora ogni giorno di più", ha detto ancora Cuzzilla nella sua chiusura, chiedendo, come CIDA, "alla politica di cambiare passo. Non servono altri cerotti, servono regole stabili. Non servono provvedimenti estemporanei, servono visione e coraggio. Vogliamo ricordare alla politica che la previdenza non è una voce di bilancio: è la spina dorsale della società". Quindi, Cuzzilla ha avanzato una proposta: "Chi ha dato di più deve avere regole stabili e la certezza del diritto.

Serve la garanzia che lo Stato non possa cambiare le carte in tavola ogni volta che ha bisogno di fare cassa. E dall’altro lato serve una Corte costituzionale più coraggiosa, che non si limiti a tutelare il bilancio pubblico".

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