Le prime montagne del Tour spazzano via i resti d’Italia

Per 8’’ Landis, ex gregario di Armstrong, beffa Dessel e gli prende la maglia gialla. Ora sogna la Grande Boucle

Pier Augusto Stagi

Questione di punti di vista. I francesi masticano amaro, soprattutto il bravo Cyril Dessel, che per soli otto secondi ha dovuto cedere la maglia gialla all’americano Floyd Landis, uno dei nipotini di Armstrong, che qualche anno fa si mise in proprio dopo anni di gregariato e adesso sogna in grande. Sogna la Grande Boucle. In un Tour decapitato, e per alcuni osservatori più umano, il ciclismo italiano ne esce con le ossa rotte. Massacrati nella prima tappa di montagna, nell’unica tappa pirenaica di questo Tour che di montagne ne ha davvero pochine. Cyril Dessel avrebbe potuto e voluto festeggiare oggi la Presa della Bastiglia con le insegne del primato sulle spalle, ma per una manciata di secondi è secondo. Come perdere una finale mondiale ai rigori: ai francesi brucia. Ma se per i francesi che amano il ciclismo è una festa a metà, per gli italiani la festa proprio non c’è. L’undicesima tappa, da Tarbes a Val d’Aran Pla-de-Bert, è la cronaca di una disfatta: profonda, indiscutibile, imbarazzante. Cinque colli: Tourmalet, Col d’Aspin, Col du Peyresourde, Col du Portillon e arrivo in quota a Pla-de-Beret. Sono bastati cinque colli uno in fila all’altro per spazzare via le ambizioni del ciclismo italiano, orfano di Ivan Basso, rispedito a casa con il sospetto di aver fatto ricorso alle cure di Eufemiano Fuentes assieme a Ullrich, Sevilla, Mancebo e via via tutti gli altri, e che adesso piange la dura sconfitta. Basso è a casa, chi è qua è come se non ci fosse: questa è la realtà. I commentatori della tivù di Stato dicono: «Meglio un ciclismo così, più umano: meno marziani, più corridori...», ma i distacchi che i nostri prodi hanno raccolto ieri sono di gran lunga superiori e più preoccupanti di quelli che questi stessi protagonisti rimasti in corsa sulle strade di Francia si erano visti accreditare sulle strade del Giro da chi troppo frettolosamente era stato definito marziano.
L’atteso tappone pirenaico ha fatto esplodere una corsa che fino a ieri era stata a dir poco soporifera. Vittoria di tappa al russo Denis Menchov, vincitore dell’ultimo Giro di Spagna a tavolino, dopo la sacrosanta squalifica di Roberto Heras, trovato positivo. La maglia gialla sulle spalle del corridore a stelle e strisce Floyd Landis. Il migliore degli italiani Gilberto Simoni, sedicesimo ad oltre quattro minuti. Trentatreesimo Damiano Cunego ad oltre dieci minuti, mentre Paolo Savoldelli sprofonda ad oltre ventitré. Escono di classifica tutti gli uomini della Discovery Channel, la ex formazione di Armstrong, che quest’anno puntava sul ragazzo di Rovetta, su Hincapie, Azevedo e Popovych. Da oggi sono tutti all’inseguimento, come una squadra allo sbando, come un gruppo privo del loro punto di riferimento. Torna a casa uno dei bluff degli ultimi anni, Iban Mayo. Male, molto male, anche il russo Karpets, dal quale ci si aspettavano ben altre cose.
La tappa è stata caratterizzata da una lunga fuga portata avanti in particolare dallo spagnolo De La Fuente e dal tedesco Wegmann, mentre Cunego ha provato a farsi vedere prima dell’ascesa finale con Arroyo, ma poi ha pagato miseramente dazio. L’attacco portato dallo stesso Menchov a metà dell’ascesa verso Pla-de-Beret è costato novanta secondi al tedesco Andreas Kloden. Ma proprio la T-Mobile, a questo punto, può essere la squadra in grado di far saltare il banco, potendo sganciare all’attacco elementi di sicuro valore come Rogers e Sinkewitz. «È stata una tappa molto dura – commenta Gilberto Simoni –. Anche nel finale c’è stata poca bagarre perché eravamo tutti al limite. Fatica ne abbiamo fatta tanta, ma davanti sono arrivati corridori che meritavano. Il mio Tour? Cosa posso dire: fare fatica per niente non vale la pena. La fatica la farò solo per l’Alpe d’Huez, lì forse può valerne la pena. Poi vedremo». Un altro che pensa all’Alpe d’Huez è Damiano Cunego, che si dice però soddisfatto della sua prima esperienza sulle strade del Tour. «Mi sentivo bene e mi sono detto “provo”.

Forse è stata un’azione un po’ troppo coraggiosa e avventata, però mi sentivo di misurarmi. Così ho provato ma ho speso tutto quello che avevo. L’Alpe d’Huez? Mi piace, ma credo di non essere il solo a pensare a questa tappa... Io, per il momento, sono contento di quel che ho fin qui fatto». Punti di vista...

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