Primi a pagare i dipendenti statali Ma ne soffrirebbe tutta l’economia

Che cosa succede se gli Stati Uniti falliscono? Cominciamo subito a dire che in realtà la questione è più tecnica che reale: l’America non è la Grecia. La battaglia che si sta combattendo in questi giorni a Washington dipende da un’«anomalia», per dir così, che non si verificherebbe nella maggior parte degli altri Paesi: gli Stati Uniti, infatti, non possono indebitarsi in assenza di un limite fissato, di volta in volta, dal Congresso. Che, nel corso della storia americana, ha già dovuto spostare diverse volte l’asticella sempre più in alto: ma questa volta l’accordo tra democratici e repubblicani, conditio sine qua non per trovare una soluzione, sembra davvero lontano. Mentre il 2 agosto, data limite per elevare il tetto del debito, è sempre più vicino.
L’Armageddon evocato da Barack Obama potrebbe dunque trasformarsi in realtà? Le cifre sono preoccupanti: il 3 agosto il governo dovrebbe pagare 23 miliardi di dollari a 29 milioni di americani per la Social Security, il 4 agosto maturano 90 miliardi di dollari di debito e il 15 agosto il Tesoro dovrebbe pagare 30 miliardi di dollari di interessi.
«Ma anche se si arrivasse al default - dice Marco Giorgino, docente di Finanza al Politecnico di Milano -, non riguarderebbe certo tutti gli impegni del governo federale. Gli interessi del debito continuerebbero a essere onorati. Sicuramente però subirebbe un ritardo la “macchina“ interna: i pagamenti ai dipendenti pubblici, inclusi i militari, ai veterani, insomma tutto ciò che dipende dallo Stato. Dovendo far fronte a uno squilibrio dei conti federali, la conseguenza inevitabile sarebbe un rialzo dei tassi d’interesse, con le ripercussioni a catena facilmente immaginabili». Tanto più che è prevedibile anche un taglio del rating degli Usa. «A dire la verità mi sorprende - continua Giorgino - che le agenzie di rating, così solerti con altri Paesi, Italia in primis, non siano ancora intervenute nel caso americano, nemmeno con una variazione di outlook. Certo è che l’intera economia Usa entrerebbe in una fase critica: la spinta alla crescita verrebbe meno e il valore delle imprese subirebbe una fortissima riduzione, che ovviamente si ripercuoterebbe sui mercati come un virus contagioso, dato che investitori di tutto il mondo hanno in portafogli titoli di aziende americane».
Mentre si stanno ancora smaltendo gli effetti della crisi dei subprime, un’altra sarebbe dunque alle porte, o forse dobbiamo smettere di parlarne usando il condizionale? «Direi di no- conclude Giorgino - Sono convinto che alla fine, più o meno obtorto collo, un accordo si troverà: nel peggiore dei casi, il presidente può assumersi la responsabilità, in condizioni di emergenza, di modificare il tetto del debito.

Ma non penso che sarà necessario: ormai sulla necessità di un piano di tagli sono d’accordo tutti, il punto è la “filosofia“ dei tagli da applicare. Comunque, il mondo non si può permettere il default degli Stati Uniti: e tantomeno se lo possono permettere gli stessi Usa». Too big to fail, anche se è un’espressione che nessuno vuole più usare.

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