da Milano
Questa volta la grande finanza nazionale, vocata al libero mercato e di stampo anglosassone, si è presa una bella lezione di come funzionano le cose quando domina il «centralismo democratico». Infallibile metodo decisionale leninista, quando si trattava di agire. Così hanno fatto a Siena quelli del Monte Paschi: nessuno, tra gli gnomi della finanza milanese che vivono in Borsa alla ricerca di voci su possibili fusioni e acquisizioni, ha saputo nulla dellacquisto di Antonveneta da parte di Mps fino alle 15 di ieri. Nessuna fuga di notizie, nessuna voce, niente. In stile Cremlino daltri tempi. Per chiudere una partita da 9 miliardi con gli spagnoli del Santander ai senesi (che sono banchieri dal 1472) sono bastate 24 ore.
Paradossi a parte (non ce ne vogliano a Siena), che il Monte Paschi sia tra le banche italiane la più diversa, è noto. Per due motivi. Il primo è che è lunico istituto la cui maggioranza (58%) non sta sul mercato ma è di una Fondazione. Controllata a sua volta dagli enti pubblici (Comune e Provincia su tutti). La seconda è che tali Enti sono governati dal dopoguerra da solide maggioranze Pci, poi Pds, poi Ds. E presto Pd. In sintesi, giunte «rosse». Che poi la banca si muova sul mercato con operazioni di mercato e finanzi tutte le imprese, da Fiat a Mediaset, è un fatto. Che non cambia, però, i connotati del Monte.
Lo dimostra il rapporto particolare che esiste tra la banca e «il» partito. Basta ricordare gli scontri tra Botteghino e Piazza del Campo, con i vari DAlema e Bassanini a mettere bastoni tra le ruote nelle cose senesi. Si pensi allestromissione, nel 2001, del sindaco Pierluigi Piccini dalla nomina al vertice della Fondazione. O alla opposizione verso la fusione con Bnl, sponsorizzata da DAlema e da un manager a lui vicino quale Vincenzo De Bustis. Poi triturato dalla macchina della città, che il matrimonio ha fatto saltare. E tutto per timore di allentare la presa della Fondazione sulla banca. Cosa che non avviene nemmeno ora, grazie a unoperazione che fa crescere il Monte senza diluire la Fondazione sotto il fatidico 51% del capitale. Per questo ieri hanno subito applaudito alla notizia sia il sindaco Maurizio Cenni, sia il potente capo della Provincia Fabio Ceccherini. Ma a essere al settimo cielo è Giuseppe Mussari, il presidente della banca che da qualche tempo si sentiva un po isolato. Estromesso dal valzer delle fusioni nazionali (i candidati sono stati Sanpaolo, Intesa e Capitalia) per i soliti motivi, Mussari era sotto tiro. Tanto che il viceministro Vincenzo Visco (altro diessino nemico dei poteri senesi) qualche settimana fa lo aveva impallinato: «Senza campanilismi avremmo avuto la terza superbanca italiana». Ora Mussari lo ha fregato. Con unoperazione strategicamente centrata. Anche se pagata molto cara.
Credere che il presidente non abbia pensato a «coprirsi» a sinistra sarebbe però sbagliato. E tutti gli indizi portano in ununica direzione: il Pd veltroniano. Verso il quale Mussari si sarebbe mosso con grande riserbo ed estrema cautela in questi mesi (lo avrebbe avvertito delloperazione 2 giorni fa). Tradendo un paio di segnali rivelatori: il primo è la costruzione di un legame forte con Carlo De Benedetti, primo tifoso del sindaco di Roma. Il che è avvenuto un mese fa, con lacquisto di una quota di Sorgenia (società energetica dellIngegnere) da parte di Mps a una cifra che ha sorpreso tutti. E ha fatto salire le quotazioni della Cir, holding di De Benedetti, alle stelle. Il secondo è lentusiasmo mostrato ieri da Francesco Gaetano Caltagirone, socio romano di Mps, che con Antonveneta rafforza assai la sua presenza nel ricco nord est (è già in Generali e ha il Gazzettino).
Proprio ieri la Unipol (compagnia delle coop «rosse») ha annunciato che restituirà ai soci il capitale in eccesso: si tratta di quello raccolto due anni fa da Giovanni Consorte per scalare la Bnl e far dire a Fassino «abbiamo una banca». Qualcuno già dice che se DAlema e Fassino non lhanno avuta, forse Veltroni ci va ora vicino.
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