Primo pacemaker RMN compatibile

A Milano impiantato per la prima volta un innovativo pacemaker compatibile con la risonanza magnetica. L’intervento, su un paziente con un disturbo di conduzione cardiaca, è stato eseguito presso l’unità operativa di aritmologia dell’Istituto scientifico universitario San Raffaele, diretta dal dottor Paolo Della Bella.Quando la normale contrazione del cuore non viene assicurata dal sistema di conduzione cardiaca viene impiantato un dispositivo medico (pacemaker) per portarne alla normalità il funzionamento. Si tratta di una protesi elettrica che automaticamente riconosce la disfunzione e la corregge, regolarizzando il ritmo e garantendo un adeguato funzionamento del cuore.
«Nei pacemaker disponibili fino ad oggi – afferma il dottor Della Bella - la cassa metallica e soprattutto il catetere metallico che arriva al cuore per trasmettere l’impulso interferiscono con le radiazioni elettromagnetiche e possono determinare lo spostamento del catetere o il suo surriscaldamento con conseguenti rischi di lesione, perforazione o ustione dei tessuti circostanti e la stessa circuitazione elettrica dell’apparecchio può venire danneggiata. Il nuovo apparecchio MRI-safe evita questi rischi e migliora considerevolmente la qualità di vita dei pazienti con cardiopatie, che potranno sottoporsi alla risonanza magnetica, sia di tipo ortopedico che internistico, in tutti i distretti del corpo e persino al torace, senza alcun rischio per la loro sicurezza».
L’intervento necessario all’impianto del nuovo dispositivo dura dai trenta ai sessanta minuti, non differisce dall’intervento per l’impianto di un pacemaker tradizionale e non comporta rischi aggiuntivi.
«Questo impianto diventerà l’opzione preferita. Per chi è già portatore di pacemaker tradizionali – precisa Della Bella - un’eventuale sostituzione comporterebbe la necessità di rimuovere i cateteri preesistenti, manovra che richiede una cautela particolare». Paolo Della Bella, milanese, laureato in medicina e specializzato in cardiologia e in anestesiologia all’università di Milano, dopo diversi soggiorni all’estero per perfezionare la sua preparazione (in Olanda con il professor Hein Wellens, un pioniere dell’elettrofisiologia) ha maturato un’esperienza ventennale al Centro Cardiologico, Fondazione Monzino di Milano. Membro della European Heart Rhythm Association (EHRA) è da gennaio responsabile dell’unità aritmologia del San Raffaele dove ha disposto una serie di percorsi atti ad accogliere in qualsiasi momento pazienti gravi, grazie ad un’interazione sinergica con la cardiochirurgia, la rianimazione ed i trapianti.
A partire dall’inizio degli anni Novanta si sono intensificati gli studi di elettrofisiologia sul cuore. L’elettrofisiologia negli ultimi anni ha pemesso di capire i fondamentali meccanismi che stanno alla base delle aritmie, dei disturbi nella formazione o nella conduzione dell’impulso elettrico del cuore. La fibrillazione atriale, la più comune tra le aritmie cardiache, è caratterizzata da una completa irregolarità dell’attivazione elettrica degli atri, due delle quattro camere cardiache. In presenza di tale anomalia, le normali contrazioni atriali vengono sostituite da movimenti caotici, completamente inefficaci ai fini della propulsione del sangue. Inoltre il battito cardiaco diviene completamente irregolare. Questa disfunzione si manifesta nello 0,5% della popolazione adulta. Al di sotto dei 60 anni la prevalenza è inferiore all’1%, superiore al 6% dopo gli 80 anni. Negli Stati Uniti ne soffrono 2,2 milioni di persone, oltre cento nel mondo.
La fibrillazione atriale può essere cronica, ovvero continua, persistente oppure parossistica, con episodi di durata variabile da pochi secondi ad alcune ore o giorni. É causa di un significativo aumento del rischio di complicazioni cardiovascolari. Provoca inoltre una riduzione della tolleranza agli sforzi, causata da un’efficienza ridotta della contrazione del cuore, con sintomi quali palpitazioni, affaticamento e mancanza di fiato.

Infine, il ristagno di sangue favorisce la formazione di coaguli all’interno del cuore ed il rischio di fenomeni embolici come l’ictus cerebrale. Per questo i pazienti con fibrillazione atriale vengono trattati con farmaci anticoagulanti. Le tecniche di ablazione, pur con i loro limiti, rappresentano lo strumento migliore per il mantenimento del ritmo sinusale.

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