Politica

La primula rossa delle Br vuole la libertà

La brigatista gestì con Moretti il covo in cui si preparò il sequestro Moro

Stefano Zurlo

da Milano

Fino al 19 giugno 1985 e alla cattura, era considerata la primula rossa delle Br. Ora anche Barbara Balzerani è a un passo dalla libertà condizionale. L’ultima parola spetta al Tribunale di sorveglianza di Roma che ha incaricato la Digos di diverse città italiane di sondare i parenti delle vittime, come si fa ritualmente in queste circostanze.
Certo, concedere la libertà condizionale alla Balzerani vuol dire, nei fatti, consegnare alla storia gli anni di piombo. La Balzerani rappresenta la storia del brigatismo italiano. Romana di Colleferro, laureata in filosofia, entra nella colonna della capitale nel 1976 e da allora occupa una posizione di assoluto rilievo nel mondo dell’eversione. Nel suo curriculum c’è la gestione, in condominio con Mario Moretti, della casa di via Gradoli, base in cui fu preparato il sequestro Moro, e la partecipazione alla strage di via Fani. Poi, la donna si trasferisce a Milano e diventa responsabile della struttura che progetta le «azioni di guerriglia». Nel 1980 entra nel comitato esecutivo, impresa riuscita in precedenza solo ad una donna: Mara Cagol, la moglie di Renato Curcio, morta in un conflitto a fuoco con le forze dell’ordine. Nel 1981, anche Moretti, il capo delle Brigate rosse, cade nella rete e tocca a lei alimentare le sanguinarie e disperate illusioni dell’ultima stagione rivoluzionaria e dare, dopo il fallimento del sequestro Dozier, la parola d’ordine della ritirata strategica. Ovvero, ammettere la sconfitta.
Dall’arresto sono passati ventun anni. Tanti. Ora siamo in un’altra epoca e paiono riassorbiti anche gli ultimi, terribili rigurgiti eversivi. Qualcuno ritiene che sia arrivato il momento di chiudere la partita sul piano politico, con un indulto. In realtà, come ha spiegato a L’antipatico Maurice Bignami, ex comandante di Prima linea, la soluzione è già arrivata. Alla spicciolata. Gli ex pericoli pubblici sono ormai quasi tutti fuori: completamente liberi, in libertà condizionale, semiliberi. Anzi, molti ex vivono carriere sfolgoranti e quasi incredibili. Sergio D’Elia, ex capo del gruppo toscano di Prima linea, è addirittura deputato della Rosa nel pugno e segretario d’aula alla Camera. Susanna Ronconi, che detiene il poco invidiabile record di aver militato prima nelle Br e poi in Prima linea, è appena entrata nella Consulta nazionale per le tossicodipendenze. E a chi ricordava il suo passato burrascoso, il ministro della Solidarietà Paolo Ferrero ha risposto per le rime: «Susanna Ronconi ha titoli scientifici maggiori di altri componenti della Consulta». Lorenzo Conti, figlio dell’ex sindaco di Firenze Lando Conti, ucciso dalle Br nel 1986, ha avviato uno sciopero della fame proprio per richiamare l’attenzione delle più alte cariche dello Stato sulla disparità di trattamento che si è creata nel Paese fra le vittime e i carnefici di ieri. Molti ex terroristi hanno trovato riparo e lavoro dentro le istituzioni, i parenti di chi ha dato la vita spesso sono dimenticati.
Barbara Balzerani, condannata a tre ergastoli, dal 1995 lavora fuori dal carcere e ha pubblicato due libri: Compagna Luna e La sirena delle cinque. Fra l’altro, in vista dell’udienza di oggi, sono stati sentiti Maria Fida Moro, figlia dello statista democristiano, e i parenti di quattro carabinieri trucidati a Genova fra il 1979 e il 1980. I giudizi espressi a Genova sarebbero negativi. E in nessun caso ci sarebbe stato un risarcimento.

La decisione arriverà entro la fine dell’anno.

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