Parte da Genova la crociata contro i processi-lumaca. La Corte di Cassazione - con una importante decisione a sezioni unite - ha esteso anche agli eredi di persone che hanno subito la lentezza del sistema giudiziario la possibilità di chiedere allo Stato il «risarcimento» (previsto dalla «legge Pinto» del 2001) per i processi-lumaca a carico di un parente, morto prima della conclusione della causa.
Con l'affermazione di questo principio la giurisprudenza italiana si allinea alle più recenti indicazioni della Corte di Strasburgo che più volte, da quando l'Italia ha introdotto la normativa sulla «equa riparazione» in favore dei cittadini colpiti dalle lungaggini giudiziarie, ha bacchettato il nostro paese per i continui tentativi di limitare il raggio dapplicazione della legge 89/2001.
La causa che ha portato a questa estensione della «Pinto» è stata promossa dal principe genovese Carlo Centurione Scotto contro la presidenza del consiglio dei ministri per ottenere l'equo indennizzo per la «irragionevole durata» di cinque giudizi. Centurione Scotto ha promosso, innanzi al Tar della Toscana, i cinque procedimenti in questione nel giugno 1990, nel novembre 1993, nel novembre 1997, nel febbraio 1998 e nel marzo 1998: tuttora le cause giacciono «in attesa di fissazione dell'udienza di discussione».
In uno di questi processi Centurione Scotto - discendente del casato che diede sei dogi a Genova ed ebbe al servizio Cristoforo Colombo - era subentrato in seguito alla morte della madre, la nobildonna toscana Maria Teresa Salviati. La corte di appello di Genova, con verdetto del luglio 2002, aveva negato a Centurione Scotto il diritto all'equo indennizzo stabilendo che gli eredi non possono chiedere il «risarcimento» del danno patito dai loro cari, nel frattempo morti, per i processi senza fine. La Suprema Corte - condividendo la tesi sostenuta dagli avvocati Giuseppe Giacomini e Antonio Palatiello - ha sconfessato questa tesi.
Adesso, per effetto della sentenza di legittimità 28507, la corte di appello di Genova dovrà rivedere il suo «no».
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