Una procedura che in 15 mesi non ha ancora dato risultati

Quindici mesi di errori che hanno aggravato ancor di più la situazione di Alitalia. È questo, in sintesi, il risultato prodotto dalla gestione della vicenda da parte del governo Prodi. Nel dicembre 2006 il ministero dell’Economia avviò la trattativa diretta per la cessione di una quota non inferiore al 30,1% della ex compagnia di bandiera. L’eventuale vincitore avrebbe dovuto pertanto lanciare un’Opa obbligatoria. Un annuncio generico che invogliò ben 11 pretendenti a correre per Alitalia. Tra questi: Ap Holding di Carlo Toto, M&C di Carlo De Benedetti e i fondi Usa Texas Pacific Group (Tpg) e Matlin Paterson. Solo nel febbraio del 2007 furono rese note le pesanti condizioni alle quali si sarebbe potuto procedere all’acquisto, ovvero mantenimento dei livelli occupazionali e della connotazione italiana della società. Un diktat che scremò notevolmente il novero dei pretendenti tra i quali figurava anche la Wonders & Dreams di Paolo Alazraki. Rimasero solo in tre: Ap Holding (assistita da Intesa Sanpaolo e Mps), Unicredit con la russa Aeroflot e Tpg. Quest’ultima, come ha ricordato ieri Prodi, non avendo trovato un partner italiano, sebbene assistita da Mediobanca, uscì dalla contesa. Alla fase delle offerte vincolanti non arrivò nessuno e solo con l’insediamento alla guida di Alitalia di Maurizio Prato si riaprirono i giochi.

Con la trattativa diretta affidata al consiglio di amministrazione si affacciarono le grandi compagnie aeree che avevano rifiutato le precedenti imposizioni del governo. Ma Lufthansa, alla fine, desistette per non pregiudicare il proprio rating. Tolta la misteriosa cordata Baldassarre restarono solo in due: Air France e Ap Holding. Il resto è storia recente.

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