Processo ai killer di D’Antona Scontati 10 anni ai brigatisti

Patricia Tagliaferri

da Roma

In primo grado il gup Luisanna Figliolia, che l’aveva giudicata con il rito abbreviato, non ne aveva voluto sapere di riconoscere alla prima pentita delle nuove Brigate Rosse lo status di collaborante e aveva condannato a 20 anni Cinzia Banelli per l’omicidio di Massimo D’Antona e a 4 per le rapine di autofinanziamento, definendo tardive e non decisive le sue dichiarazioni.
L’ergastolo, invece, era toccato alla compagna d’armi Laura Proietti. Sentenze che ieri sono state drasticamente ridotte dalla seconda Corte d’Assise d’appello di Roma: i 20 anni della Banelli sono diventati 12 in virtù proprio della collaborazione fornita agli inquirenti dalla brigatista e il carcere a vita della Proietti, con la concessione delle attenuanti generiche per aver ripudiato la lotta armata, si è trasformato in 20 anni di reclusione.
Olga D’Antona, vedova del professore ucciso il 20 maggio del 1999 e parlamentare da due legislature, trattiene a stento l’emozione: «C’è una riduzione della pena che lascia stupiti. Questa sentenza rafforza in me la convinzione che bisogna cambiare certe regole: forse il rito abbreviato per i reati di questa gravità è sproporzionato». La D’Antona dice di capire «il fatto che si sia voluta segnare una differenza tra la Lioce (mai dissociata, ndr) e la Proietti, ma anche in questo caso c’è stata una generosità eccessiva».
C’è spazio anche per l’indignazione nel pensare alla Banelli («che non si è fatta scrupolo a ferire i miei sentimenti per fini strumentali») come a una pentita e al fatto «che avrà un programma di protezione a cui noi dovremo partecipare pensando al suo sostentamento». Sorpreso dall’indulgenza dei giudici anche l’avvocato Luca Petrucci, che assiste la famiglia D’Antona: «Da una parte è stata riconosciuta una differenziazione delle posizioni tra chi ha deciso di allontanarsi dalla lotta armata e chi è ancora da considerare un irriducibile delle Br. Dall’altra parte, però, ritengo che non sia più opportuno procedere con il rito abbreviato per i reati che il codice punisce con l’ergastolo. La società civile non accetta che si arrivi a infliggere pene così basse in caso di omicidio. Spero che il Parlamento metta mano alla legge».
Va oltre la sua collega, Cristina Michetelli: «La Proietti non ha mai realmente collaborato con le istituzioni».
Soddisfatta, invece, Grazia Volo, legale di Cinzia Banelli: «Una sentenza equilibrata, che si mette nel binario della tradizione delle sentenze, su reati di terrorismo, degli anni ’70 e ’80. La decisione riconosce alla Banelli lo status di collaborante, che era quello a cui la stessa Banelli aspirava, in ragione della sua scelta di abbandonare la lotta armata e soprattutto di rientrare nella società civile». Poco da dire rispetto alle perplessità sollevate dalle parti civili: «Le pene - dice la Volo - non sono di competenza delle parti civili. Tecnicamente si partiva da vent’anni di reclusione e sono state applicate le attenuanti: è dunque una sentenza ripeto tecnicamente ineccepibile».
Anche il legale della Proietti, naturalmente, non ha nulla da eccepire: «È una sentenza equilibrata, in cui è stata riconosciuta alla mia assistita la “dissociazione” negata dal giudice di primo grado. Lei si era realmente allontanata dall’organizzazione terroristica in modo spontaneo e autonomo».


Quello di ieri è stato l’ultimo giudizio, in appello, per l’omicidio del professor D’Antona. I giudici hanno anche assolto dall’accusa di favoreggiamento Stefano Banelli. Nel filone principale di questo processo sono stati condannati all’ergastolo, tra gli altri, Nadia Desdemone Lioce e Roberto Morandi.

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