Roma«Hai visto Santoro ieri sera?...». Il presidente della Camera, Gianfranco Fini, ieri allUniversità di Tor Vergata per una lectio magistralis, ha replicato con una domanda alle insistenze di uno studente che cavillava sul disegno di legge sui tempi certi del processo, giunto a Montecitorio.
Il ragazzo questionava sulle dichiarazioni di Fini a Che tempo che fa nello scorso novembre quando affermò che una legge sul processo breve dovrebbe essere concomitante con maggiori risorse per la giustizia. «Rispetto a ciò che dissi da Fazio - ha aggiunto - è accaduto qualcosa in più perché in Finanziaria ci sono più stanziamenti per lapparato giudiziario. È un primo passo nella direzione giusta».
Lex numero uno di An, dunque, non ha ceduto alle provocazioni e ha evitato qualsiasi presa di distanza dal presidente del Consiglio, segno che i recenti incontri hanno sortito un effetto. Il via libera alla norma, però, non è definitivo. «Al Senato - ha precisato - ci sono state modifiche positive anche se ci sono alcune questioni da approfondire».
Fini non si è scomposto dinanzi alle intemperanze dipietriste dei giovani interlocutori che sollecitavano lintervento del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. «Non si può ipotizzare che mentre il Parlamento lavora il capo dello Stato parli», ha rilevato «perché quando il Parlamento lavora il capo dello Stato deve tacere, non gli si può chiedere di diventare un attore politico».
Fini, dinanzi a una platea nella quale spiccava la presenza del presidente della Corte Costituzionale Francesco Amirante, ha scelto una linea che, tutto sommato, ha salvaguardato le istanze della maggioranza di fronte agli allarmismi dellasse Di Pietro-Travaglio-Santoro. «È buona norma attendere che liter sia concluso per dare un giudizio complessivo», ha specificato.
Certo, il discorso letto ieri da Fini si può iscrivere interamente nel filone di difesa della democrazia parlamentare nei confronti di quella governante, ormai da tempo inaugurato. E, nonostante abbia ammonito i cronisti a non interpretare «le sue parole in chiave di dualismo con Berlusconi, non è sfuggito che luso di termini come «deterritorializzazione» appartenga ad autori come Deleuze e Guattari di certo non consustanziali alla destra.
«Persino nei sistemi presidenzialisti non è vero che il Parlamento è un orpello», ha affermato Fini evidenziando come «un governo che si basa legittimamente sul potere costituito e sui voti è un governo autenticamente democratico se sa anche riconoscere le ragioni degli altri». Nellordinamento repubblicano, così come interpretato dal presidente della Camera, «la democrazia proteggendo i diritti, limita ciò che le maggioranze sono in grado di fare agli individui o ai gruppi». Lauspicio di una regolamentazione delle lobby si inscrive in questa visione.
La capacità di sottile tessitura dei rapporti politici è testimoniata anche dalle parole pronunciate ieri a Cagliari da Gianni Alemanno. «Spero di sopravvivere come sindaco di Roma, la prova che sto affrontando è difficile ed entusiasmante e sono concentrato su quello che faccio, non penso al futuro. Non mi pongo il problema della successione a Fini», ha dichiarato.
Sono parole «pesanti» perché appianano quel solco che nella vecchia An si era scavato tra i due. «Nei suoi confronti - ha spiegato - ci sono differenziazioni per quanto riguarda, ad esempio, la questione della cittadinanza e il fine vita. Su molti temi le geometrie sono variabili, ed io mi trovo più daccordo con persone di Forza Italia come i ministri Sacconi o Tremonti».
Non casuale che il sindaco abbia accennato alla necessità che il Pdl lavori «perché al proprio interno ci sia un amalgama e al contempo un forte pluralismo».
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