
«Adesso dite che nella curva dell'Inter c'era un clan guidato con un vertice. Ma voi con quel vertice avevate rapporti continui. E adesso chiedete di costituirvi parte civile nel processo, lamentando un danno di immagine che avete causato voi stessi. Denunciate il bagarinaggio, fatto con i biglietti che voi stessi passavate agli ultras».
Sono le undici di mattina, nell'aula bunker davanti a San Vittore. É il primo giorno del processo alle curve criminali di Inter e Milan. I due club chiedono di costituirsi parte civile contro gli ultras. Ma dai banchi delle difese arriva l'opposizione degli imputati. Perchè, dicono gli avvocati, se questo è il processo a dieci anni di tifo organizzato, alla conquista da parte della malavita della Nord e della Sud, come fanno a dichiararsi vittime due società che per anni con i malavitosi che regnavano sul Meazza hanno scambiato favori?
Il giudice alla fine accoglie la richiesta dei due club. Ma quell'interrogativo continua ad aleggiare sull'aula: Inter e Milan sono state vittime o complici? A nutrirlo non sono solo i difensori. Il pubblico ministero Paolo Storari si fa la stessa domanda. A una manciata di ore dall'udienza, ha depositato l'ultimo verbale di Andrea Beretta, il capo della curva interista diventato collaboratore di giustizia. Storari è andato a trovarlo a Paliano, nel carcere riservato agli «infami». Si è fatto rispiegare i rapporti con due bandiere dell'Inter: Javier Zanetti, il capitano del triplete, oggi vicepresidente; e Romelu Lukaku, il centravanti del diciannovesimo scudetto, oggi odiato dalla Curva ma allora esaltato. Dopo lo scudetto, ha raccontato Beretta, Lukaku regalò degli orologi con dedica a tutti i compagni di squadra: e uno lo regalò anche a me, il capo della Curva, «con Lukaku era nata una sorta di amicizia». E Zanetti? L'agenda di Beretta pullula di appuntamenti col vicepresidente, di pranzi al suo ristorante, di richieste d'aiuto. Con Zanetti vi parlavate direttamente? «Sì». Come vi poteva aiutare, chiede il pm? «Parlava con Marotta, quella gente là». Faceva da intermediario tra voi e Marotta? «Sì». Nell'agenda c'è scritto Chuck, Marotta, 9.30", Chuck chi è? «Chuck è Norrito», un ex pugile, un gregario della curva.
Il pm è incredulo: «Mi scusi, mi perdoni, quello che non riesco a capire, uno come Marotta, che insomma è un personaggio importante dell'Inter, perchè parla con Norrito di ste robe qui? «Eh, dottore, ma ti devi interfacciare per forza con la tifoseria».
Andava fatto «per forza», per tenere a bada lo stadio. Per evitare le contestazioni, gli scontri, le squalifiche. L'inchiesta di Storari racconta come a furia di abbozzare e trattare si siano aperte le porte di San Siro al crimine organizzato. Due degli uomini-simbolo di quella conquista sono sotto terra: Vittorio Boiocchi, capo della curva interista, e Antonio Bellocco, il picciotto di 'ndrangheta che si impadronisce della Nord grazie a Beretta, e da Beretta viene poi ucciso. Ma le loro ombre, come i verbali del pentito, aleggiano sull'aula bunker.
In aula, poche facce. I capi, i più tosti, sono rimasti in carcere, inquadrati nei monitor delle sale colloquio: Luca Lucci, il crudele capo della curva rossonera, da Voghera; Marco Ferdico, il compare di Bellocco nella conquista della Nord, anche lui da Voghera. Beretta, il pentito che molti degli imputati scaraventerebbero volentieri dal terzo anello, è collegato da Paliano. In aula - malconcio, accanto al suo pugnace difensore Angelo Colucci - c'è Pino Caminiti, che per la Procura era l'asse di congiunzione tra la 'ndrangheta e Zaccagni, il colletto bianco che gestiva i parcheggi intorno a San Siro. Ma questa dei parcheggi è una lunga storia, che risale a quando i primi a metterci le mani furono Mauro Russo, un bel ragazzo che era uno dei primi capi dei Boys, e suo fratello, che invece stava con la sorella di uno dei giocatori simbolo del grande Milan.
Da allora molto è cambiato, e i rapporti tra club e ultras - dice il processo che inizia ieri - si sono fatti organici. Nei suoi verbali Beretta racconta un mondo di mezzo, dove calciatori milionari ma apparentemente sprovveduti incontrano a pranzo e a cena i ras violenti della curva.
Un rapporto che, dice il boss pentito, nasce fin dal primo momento, dallo sbarco a Linate: «Con Lukaku avevo rapporti diretti, sono andato a prenderlo quando è arrivato. Quando c'ero io ogni calciatore che arrivava, noi ci presentavamo alle visite mediche e facevamo le foto di rito insieme con la sciarpa». E i dirigenti dei club, dov'erano?
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