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Processo a Mubarak Chiesta la pena capitale

La Procura lo accusa: non impedì ai militari di sparare sui manifestanti di piazza Tahrir

Processo a Mubarak Chiesta la pena capitale

Le rivolte arabe rischiano di diventare la primavera del patibolo per i presidenti-dittatori caduti in disgrazia. L’ultimo a rischiare la forca è l’ex faraone Hosni Mubarak. Ieri il procuratore capo lo ha accusato, assieme al suo ministro dell’Interno e sei alti ufficiali di polizia, della morte di 850 manifestanti nei 18 giorni di rivolta che hanno sconvolto l’Egitto un anno fa. Oggi la pubblica accusa, al termine della requisitoria, dovrebbe chiedere la pena capitale trasformando la caduta dei regimi arabi in una vendetta alla ghigliottina.
Dopo il linciaggio del colonnello Gheddafi in stile piazzale Loreto, il tentato assassinio del presidente yemenita Ali Abdullah Saleh ed i 35 anni di galera inflitti all'esiliato padre-padrone tunisino, Ben Alì, l'ex presidente egiziano è il primo leader arabo a rischiare il patibolo con un processo. Il procuratore capo egiziano, Mustafa Suleiman, ha puntato il dito contro Mubarak, il suo ministro dell'Interno, Habib al Adly e sei suoi collaboratori. Li ha accusati di essere «gli istigatori che hanno dato l'ordine di sparare. I manifestanti erano pacifici e la polizia ha iniziato a far fuoco contro di loro». In aula sono stati mostrati dei video che non lasciano dubbi. Gli agenti caricano le armi con munizioni letali e mezzi antincendio travolgono dei civili che protestano. Un filmato mostra un ufficiale di polizia che uccide un manifestante sparandogli in testa. Nella requisitoria presso la corte di assise del Cairo il procuratore capo ha sostenuto di basarsi su «prove irrefutabili». Mubarak non ha dato un ordine diretto di uccidere, ma non impedì al suo ministro dell'Interno di far sparare sulla folla e non lo destituì una volta conosciuti i fatti. La rivolta egiziana scattata il 25 gennaio è costata la vita a 850 persone. Per un reato del genere è prevista la pena di morte. I parenti delle vittime credono poco nel processo iniziato, fra mille difficoltà, il 3 agosto scorso. Lo stesso generale Hussein Tantawi, che guida la giunta militare egiziana, testimoniando a porte chiuse, avrebbe scagionato l'ex faraone.
La pesante arringa dell'accusa è coincisa, guarda caso, con l'ultimo giorno di voto delle elezioni parlamentari, che vedono in testa i Fratelli musulmani e i salafiti. Mubarak, dopo essere stato trasportato al processo in barella, è agli arresti in un ospedale militare con problemi di cuore ed un tumore allo stomaco.
La primavera del patibolo ha avuto il suo apice con Muammar Gheddafi catturato vivo il 20 ottobre e poi linciato. Suo figlio Seif al Islam, arrestato il 19 novembre, viene trattato bene ma non ha mai visto un avvocato. Nel processo che lo attende a Tripoli rischia la pena di morte. Nello Yemen il presidente Saleh, in carica da troppo tempo, è stato gravemente ferito da un attentato. Dopo essersi ripreso ha accettato di uscire di scena dal prossimo febbraio. Al tunisino Ben Alì è andata un po' meglio. Il 14 gennaio 2011, dopo un mese di dure manifestazioni di piazza, è fuggito. Ricercato dall'Interpol, ha subito un grave infarto nell'esilio saudita. Il 20 giugno lui e la moglie sono stati condannati in contumacia a 35 anni di galera.
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