da Palermo
Il suo cognome è uno dei più blasonati della storia della mafia siciliana. E lui stesso, stando alle sentenze ancora non definitive dei processi che lo hanno già visto imputato nonostante la giovane età, è ben avviato nella scalata del cursus honorum di Cosa nostra. Eppure da ieri Giuseppe Salvatore Riina, 28 anni, terzogenito del capo dei capi di Cosa nostra, detenuto dal 2002, è un libero cittadino. La Corte di cassazione infatti, accogliendo il ricorso presentato dal suo difensore, Luca Cianferoni, ha deciso la sua immediata scarcerazione per decorrenza dei termini di custodia cautelare. E nel primo pomeriggio di ieri Riina jr ha lasciato il carcere di Sulmona dove era detenuto in regime di 41 bis.
Nuova polemica a scuotere il travagliato sistema giustizia italiano. Il giovane Riina, sia pure in via non definitiva, ha sulle spalle una condanna non definitiva per associazione mafiosa a otto anni e 10 mesi. Eppure i tempi lumaca dei tribunali hanno fatto sì che i termini scadessero, sfociando nella clamorosa scarcerazione di ieri. Il ministro della Giustizia Luigi Scotti ha scritto al presidente e al procuratore generale della Corte d'appello di Palermo chiedendo di ricevere «con la massima urgenza» tutte le informazioni circa la tempistica delle scadenze processuali. E il ministro dell'Interno Giuliano Amato si è detto profondamente amareggiato, e ha contattato sia il ministro Scotti sia il capo della Polizia, Antonio Manganelli: «L'episodio - ha detto Amato - è grave ma voglio assicurare che le forze dell'ordine non si scoraggeranno per questo e proseguiranno l'offensiva che sta portando grandi successi nella lotta alla mafia».
Apparentemente sereno, jeans, pullover rosa con gilet smanicato bianco e borsone arancione, Giuseppe Salvatore Riina ha varcato la soglia del carcere di Sulmona nel primo pomeriggio di ieri. Ad attenderlo a bordo di una Mercedes nera la madre, Ninetta Bagarella, la sorella e il cognato. Esulta l'avvocato Cianferoni: «È un provvedimento destinato a fare scuola, c'è un unico precedente nel 1999, anche il procuratore generale presso la Suprema corte aveva concordato con noi e chiesto la liberazione del ragazzo. Del resto, la legge è chiara: tra la sentenza di primo grado e quella d'appello non possono trascorrere più di due anni, più sei mesi per la stesura della sentenza, periodo in cui i termini di custodia sono congelati. In questo caso la sentenza del tribunale (14 anni e sei mesi la condanna, ndr) è del 31 dicembre del 2004, quella d'appello, dopo l'annullamento della Cassazione, è del dicembre del 2007. I termini dunque erano scaduti già a giugno dell'anno scorso».
Ineccepibile, e infatti la Suprema corte ha confermato. Ma che accadrà adesso? Il giovane, con ogni probabilità, tornerà nella casa paterna di Corleone, dove abitano la madre e la sorella più piccola. Il fratello più grande, infatti, Giovanni Riina, è in carcere, condannato all'ergastolo sempre per mafia. Ieri si era sparsa la voce che a Corleone si fosse fatta festa alla notizia della scarcerazione del giovane.
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