Elisabetta Pisa
Ormai non è più una novità: le coppie italiane, che non riescono a diventare genitori, si rivolgono sempre più spesso a centri stranieri di procreazione assistita. Ma il nuovo trend ora un altro: adesso anche i medici italiani stanno lasciando il nostro Paese. Una fuga in piena regola con una meta preferita: il Canton Ticino. A due passi dallItalia, a meno di unora di auto da Milano, si possono, difatti, praticare tutte quelle tecniche di fecondazione artificiale, proibite dalla legge 40, confermata dal fallimento dei referendum dello scorso 12 giugno. Ai camici bianchi di casa nostra non rimane che scegliere la via dellestero per esercitare in un settore, che in Italia è passato dal «Far West» legislativo a una rigida regolamentazione, con una delle leggi più restrittive dEuropa.
E la reazione è stata immediata. Allindomani del referendum, sono state diverse le richieste giunte allufficio del medico cantonale ticinese: dallItalia sono già almeno una decina, un bel numero se si tiene conto che in Ticino sono solo tre i medici che attualmente si occupano di questa specializzazione. E già circola la voce che un dottore italiano abbia ottenuto il permesso. Notizia smentita da Ignazio Cassis, il medico cantonale incaricato di rilasciare le autorizzazioni. «Nessuno ha sinora ottenuto il permesso dice -, ma solo per una questione formale. L'articolo di legge che consente il rilascio delle autorizzazioni speciali è appena stato approvato dal Parlamento cantonale ed entrerà in vigore a fine luglio. Solo in quel momento saranno rilasciate le prime autorizzazioni». Quindi è soltanto questione di qualche settimana. E forse non è solo una coincidenza se proprio fra quindici-venti giorni aprirà il quarto centro ticinese per la fecondazione assistita, alla clinica SantAnna di Sorengo, poco sopra Lugano. «La nostra struttura è conosciuta da 50 anni in Svizzera dice Nicola Guarneri, responsabile dello sviluppo di cliniche di Ars Medica, il gruppo italo-svizzero proprietario della struttura -. Qui nascono quasi mille bambini allanno. Per realizzare un centro dello stesso livello abbiamo dovuto attingere alle migliori risorse disponibili sul mercato europeo. Sicuramente lItalia è uno dei Paesi su cui è caduta la scelta». Per il momento non si sa quanti medici italiani lavoreranno a Sorengo: non sono ancora concluse le pratiche per ottenere le autorizzazioni.
Fatto sta che soprattutto Lombardia e Nord Italia sono le zone che alimentano questo nuovo flusso migratorio volto a soddisfare una richiesta continuamente in crescita. Se la sanità svizzera è un modello di efficienza anche per la rapidità con cui viene risposto al bisogno di cure, forse il campo della procreazione assistita è uno dei pochi in cui le liste di attesa si allungano fino ad arrivare anche a tre mesi. Unèra geologica per gli standard svizzeri: nella Confederazione nel giro di qualche giorno si riesce a ottenere senza alcuna fatica un appuntamento dallo specialista. Ma non per sottoporsi alla diagnosi preimpianto o alla fecondazione eterologa. «Cerchiamo al più presto uno o due medici dice Thierry Suter, uno dei responsabili di ProCrea di Bellinzona e Lugano -. Al momento qui lavorano tre medici e due biologi. Ma dobbiamo potenziare lorganico per abbattere la lista di attesa. Stiamo cercando sia in Svizzera sia in Italia. Le richieste sono tante. Ma non è semplice per i medici italiani ottenere le autorizzazioni: è necessario avere un permesso speciale dallOrdine elvetico dei medici. Per esercitare occorre la specializzazione in endocrinologia ginecologica e in medicina della riproduzione. In Italia non cè esattamente lequivalente di questi titoli» .
Comunque sia, ottenuta lautorizzazione è possibile aprire un centro in Ticino o lavorare in quelli esistenti. Per contro al Centro cantonale di fertilità dellOspedale regionale di Locarno La Carità operano solo medici svizzeri, affiancati da due assistenti italiane. «Lanno scorso dice Jürg Stamm, responsabile del Centro di fertilità avevamo avuto contatti con la Clinica Mangiagalli e con il San Raffaele di Milano. Purtroppo la collaborazione non è andata in porto.
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