Milano - In termini pugilistici, lo si potrebbe definire un classico «uno-due». Prima il tribunale civile condanna il Comune di Milano a consegnare immediatamente le chiavi di dieci case popolari ad altrettante famiglie rom, attualmente ospiti del campo di via Triboniano; poi, senza neanche dare il tempo alla giunta di Letizia Moratti di rimettersi dalla botta e di preparare le contromosse, il secondo colpo, ancora più duro, con la Procura della Repubblica che ieri annuncia in conferenza stampa l'apertura di una inchiesta penale con l’ipotesi di discriminazione razziale.
Nel giro di qualche settimana, insomma, il sindaco Moratti si potrebbe ritrovare iscritta nel registro degli indagati con l’accusa di avere bloccato il trasferimento dei nomadi nelle case Aler unicamente in quanto nomadi. Insieme a lei, rischia il prefetto Gian Valerio Lombardi. E, a rigor di logica, qualche colpa potrebbe venire addebitata anche al ministro degli Interni Roberto Maroni, le cui dichiarazioni del 27 settembre scorso innescarono il retromarcia della prefettura e del Comune, che già avevano deciso di assegnare gli alloggi: «Nessuna delle famiglie che saranno allontanate dai campi - disse Maroni - saranno ospitate in alloggi popolari, come originariamente previsto nel piano. Non si risolvono i problemi creando altri problemi».
Secondo quanto ha spiegato ieri ai cronisti il procuratore aggiunto Armando Spataro, per ora si tratta di una inchiesta senza indagati e senza reato. Ma è evidente che l’ipotesi cui sta lavorando Spataro d’intesa con il suo capo, il procuratore Edmondo Bruti Liberati, è quella di un reato preciso: l’articolo 1a della cosiddetta «legge Mancino» del 1993, che punisce «con la reclusione sino a tre anni» chi «incita a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi».
Ad innescare l’iniziativa della Procura è stata l’ordinanza con cui il 20 dicembre scorso il giudice Roberto Bichi, presidente della prima sezione civile del tribunale milanese, aveva accolto il ricorso di dieci famiglie rom del campo Triboniano. I nomadi accusavano Comune e prefetto di essersi rimangiati l’accordo stipulato in maggio, che prevedeva l’abbandono del campo (destinato ad essere completamente smantellato) e il trasferimento in alloggi popolari degradati, ristrutturati con un fondo apposito. Il giudice aveva dato pienamente ragione ai rom, affermando che l’accordo era pienamente operativo e vincolante, e accusando le istituzioni cittadine di avere fatto marcia indietro a fronte «della mera constatazione dell’appartenenza all’etnia rom dei beneficiari dei dieci appartamenti».
«Abbiamo acquisito quella sentenza - spiega ieri Spataro - e abbiamo incontrato i legali delle famiglie e i rappresentanti della Casa della carità (l'emanazione della Caritas che fece da garante agli accordi di maggio, ndr). Adesso chiederemo informazioni al Prefetto, che è anche commissario governativo per l’emergenza nomadi. Ci riserviamo ogni decisione al termine degli accertamenti».
Inevitabile ricordare a Spataro che già la decisione del giudice Bichi era stata vissuta dal Comune di Milano come una indebita invasione di campo, e il sindaco aveva accusato il magistrato di usurpare le funzioni della politica nonchè - come risultato finale - discriminare i cittadini milanesi in attesa di un alloggio. Non temete di portare nuova benzina sul fuoco della polemica? «Alla magistratura non possono interessare le valutazioni politiche. Le parole del sindaco Moratti non sono nuove.
E in ogni caso vorrei ricordare che l’assegnazione delle case alle famiglie rom fu frutto di una scelta dell’amministrazione comunale. Dunque non si riesce a comprendere di quale invasione di competenze si vada parlando».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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