Prodi ai suoi: il governo non si tocca

Il Professore blocca il leader del Pd che già vede al tramonto il bipolarismo: le condizioni poste dal Cavaliere vanno respinte

Prodi ai suoi: il governo non si tocca

Roma - «È finita la stagione della Cdl», dice Walter Veltroni. E intende: è finita anche la stagione dell’Unione. Ossia di quelle che il ministro rutelliano Paolo Gentiloni chiama le «coalizioni lunghe», che devono tenere insieme una miriade di partiti e partitini su programmi onnicomprensivi e sono costrette alla mediazione perpetua.

Ai due estremi del tavolo da gioco, dopo lo spariglio di Berlusconi e la sua apertura al dialogo sulle riforme («ho intenzione di rendermi disponibile nell’immediato a un incontro con Veltroni»), si andranno a sedere i capi dei due principali partiti, quelli che «hanno l’interesse comune a diventare il più possibile dominus ognuno nel suo campo», come assicura il veltroniano Peppino Caldarola. Anche con un sistema proporzionale, visto che sia Berlusconi che Veltroni con singolare sintonia e coincidenza di tempi hanno dichiarato «finita» la stagione del maggioritario all’italiana. Ma con un proporzionale sostanzialmente «bipartitico», studiato in modo da rafforzare i due partiti maggiori, liberandoli da alleanze-prigione.

Nel commentare le parole di Berlusconi, il leader del Partito democratico è cauto: «È importante e positivo che da una posizione di chiusura si sia passati alla disponibilità al dialogo: è quello che auspicavamo». Certo, tiene a sottolineare per rassicurare sia Fini e Casini a destra che i partiti minori del centrosinistra, il Pd «dialogherà con tutte le forze politiche interessate a dare un nuovo assetto al Paese: avremo lo stesso grado di cura per tutti gli interlocutori del centrodestra». Ma secondo Veltroni «si è obiettivamente passati a una nuova fase», nella quale «i principi si vanno sostanzialmente delineando».

Soprattutto, il sindaco di Roma ci tiene a rassicurare il più possibile Romano Prodi: dice che la discussione dovrà riguardare non solo la legge elettorale ma anche le riforme istituzionali e quella dei regolamenti parlamentari, e dunque il percorso sarà lungo come piace al premier, che nel frattempo conta di restare in sella. E da Palazzo Chigi ieri sera sono partiti chiari avvertimenti: certo è «positivo» che, «per ultimo», anche Berlusconi abbia dato la sua «ulteriore» disponibilità a discutere di riforme, come hanno «già fatto» altre forze dell’opposizione. Ma deve essere chiaro che «il dialogo non può avere dei però». Ossia che la condizione posta da Berlusconi (fatta la legge elettorale si va al voto) deve essere chiaramente respinta. E Veltroni prontamente assicura: il governo «va tenuto al riparo», e dunque il dialogo sulle riforme deve restare «cosa ben distinta dalla vita dell’esecutivo». Insomma, «nessun do ut des» sulla testa di Prodi, spiegano i fedelissimi del leader. Anche se è chiaro che se si avvia davvero il processo di riforma della legge elettorale, con il tempo necessario a ridisegnare le circoscrizioni elettorali (la cui dimensione sarà uno dei punti cruciali per definire le soglie di sbarramento), il voto nel 2009 è tutt’altro che escluso.

Veltroni, nella riunione dell’esecutivo Pd di ieri, si è mostrato assai prudente, e ha ricordato che prima di fidarsi di Berlusconi bisogna vedere le sue carte, perché «come ai tempi della Bicamerale» il Cavaliere può sempre far saltare il tavolo.

Dai prodiani sale il grido di dolore di Arturo Parisi, che si appella a Berlusconi perché «non ceda al proporzionale, e resista alla fine del bipolarismo». E intanto i partiti minori dell’Unione, che rischiano di essere vittime dello sbarramento, entrano in agitazione: «Nessun asse privilegiato con Berlusconi: sarebbe un modo per mandare a casa Prodi», avverte il Pdci Sgobio.

Ma Bertinotti e Rifondazione guardano con interesse alla possibilità che dal «dialogo» con Berlusconi esca un sistema elettorale che acceleri la formazione della Cosa rossa, costringendo i cespugli di sinistra ad aggregarsi al Prc.

E dal vicepremier Rutelli arriva il riconoscimento che «la nascita del Partito democratico suscita inevitabilmente dei fatti nuovi anche nel centrodestra» e l’assicurazione di una «forte disponibilità a un dialogo su basi nuove, perché siamo interessati a condividere col centrodestra il cammino delle riforme».

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