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Prodi cede ai comunisti Per abbattere lo scalone stangherà gli autonomi

Rimane l’ipotesi di uscire dal lavoro a 58 anni nel 2008, dal 2010 scatterà «quota 96» Aumentano i contributi sui parasubordinati

da Roma

«La copertura c’è», in sostanza la verifica che martedì Prodi aveva commissionato ai ministri Cesare Damiano e Tommaso Padoa-Schioppa è andata a buon fine e sono stati trovati i soldi per sostituire la riforma previdenziale di Maroni e il relativo scalone con l’ipotesi «scalino più quote». La più generosa in campo e anche la più costosa; da finanziare in primo luogo con un aumento dei contributi previdenziali per parasubordinati e lavoratori autonomi.
Punto centrale della proposta formulata da Damiano è lo scalino singolo, caro a Rifondazione comunista, mentre il ministero dell’Economia e i moderati della maggioranza ne vorrebbero due o tre, in modo da avvicinarsi il più possibile agli effetti dello scatto dell’età pensionabile da 57 a 60 a partire dal 2008, come prevede la legge attualmente in vigore.
Nella proposta che il premier dovrebbe presentare giovedì ai sindacati e venerdì al governo c’è il passaggio dell’età da 57 a 58 anni nel 2008. Nel 2010 o nel 2011 dovrebbero invece scattare le quote. L’ipotesi più probabile è che il requisito per l’anzianità che somma età anagrafica e contributiva sia fissato a 96 e che entri in vigore dal 2011. Ma nel tentativo di placare le ire dei riformisti si potrebbe decidere di farle partire un anno prima, magari iniziando con quota 96/97. I lavoratori usuranti dovrebbero essere diecimila l’anno.
La trattativa tra le parti - ieri intensissima per tutta la giornata - prima dell’uscita del ministro Emma Bonino, che ha rimesso il mandato nelle mani del premier Romano Prodi, era solo su questi ultimi dettagli. Rimanevano da decidere ancora altre misure, proprio per dare qualcosa all’ala destra della maggioranza. E ieri si faceva l’ipotesi della detassazione del lavoro straordinario, proposta cara a Confindustria. E rimane in forse anche la questione dell’aumento dell’età in cui le donne possono andare in pensione di vecchiaia. Proposta, questa, che vedrebbe Bonino favorevole e porterebbe risorse preziose alla copertura, ma che vede totalmente contrari i sindacati e un fronte politico trasversale.
In ogni caso la sostanza è che ieri è stato praticamente trovato l’accordo tra governo e sindacati sul punto centrale e cioè sui requisiti anagrafici e contributivi. E che il gesto del ministro al Commercio internazionale ha complicato di nuovo i giochi sul fronte politico. La Cgil è arrivata a sostenere che l’iniziativa dell’esponente radicale è un tentativo di «sabotaggio della trattativa sulla riforma del sistema previdenziale» (parole del segretario confederale Morena Piccinini).
Sul fronte della trattativa, assicuravano ieri diverse fonti governative, «non cambia nulla». Confermata la necessità di fare in fretta. Ieri si è addirittura parlato di inserire l’accordo sulle pensioni nella risoluzione che da il via libera al Documento di programmazione economica e finanziaria. Palazzo Chigi si è limitato a esprimere ottimismo sul fronte delle coperture (lo stesso Prodi nella risposta a Bonino ha assicurato il rispetto di «conti ed equità») e a confermare l’agenda che vuole la partita chiusa con il Consiglio dei ministri di venerdì.


In realtà, se il gesto della Bonino dovesse non essere isolato, allora si potrebbero riaprire i giochi, con il fronte dei «due o tre scalini», cioè i moderati, rafforzato. Ma a quel punto a tornare in trincea sarebbero i sindacati.

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