Laura Cesaretti
da Roma
Il podio all’americana (sia pur senza lo stemma con l’aquila, che sarebbe stato un po’ troppo) si erge in mezzo ad un prato verdissimo in fondo al quale, tra gli alberi, spunta il Cupolone. Podio che il regista dell’operazione restyling del premier, Silvio Sircana, fa spostare perchè le telecamere possano inquadrare San Pietro assieme a Prodi. Enrico Letta, sottosegretario della presidenza del Consiglio, indica la scena ai colleghi della Margherita Franceschini e Fioroni: «Che ne dite, non sembra proprio Camp David?», chiede con un sorriso soddisfatto. E i due si congratulano.
Il mega-vertice dell’Unione è ancora in corso dentro la Palazzina Algardi, meravigliosa dependence di Palazzo Chigi dentro il parco di Villa Doria Pamphili, e di lì a poco Romano Prodi salirà sul podio modello Bush (o, se vogliamo restare in Italia, modello Berlusconi) per spiegare ai giornalisti che la sua coalizione è «compatta» attorno a lui e alla «bussola del programma», e che il suo governo «ha tagliato traguardi eccellenti in soli cinque mesi», nonostante la terribile «eredità ricevuta» da Berlusconi, «quella sì una vera tassa di successione». E nonostante la «difficile situazione parlamentare, figlia della vergognosa legge elettorale».
Ammette, il premier, che di quei «traguardi eccellenti» l’opinione pubblica non ha avuto sentore, perchè c’è stato «qualche problema di comunicazione». Ma «dopo un po’», assicura, «ci si accorge che quel che conta è la sostanza». Nell’attesa che la «sostanza» appaia agli elettori, Prodi e i suoi hanno capito che un’operazione di rilancio d’immagine era urgente, dopo settimane di risse, incertezze e inciampi che hanno scosso maggioranza e governo. E ha sceneggiato il vertice di Villa Pamphili, che naturalmente non ha risolto e neppure affrontato nessuno dei nodi che dividono l’Unione, ma che è servito a mandare un messaggio di unità e di chiara direzione di marcia, su uno sfondo rasserenante di prati verdi e assolati. «Tutti sanno che la maggioranza è risicata e se si muove troppo la barca si affonda», ragiona uno dei partecipanti, il socialista Villetti, «e quindi i malumori sono stati tenuti in sottofondo: lo stato di necessità ci tiene tutti insieme, e stavolta Prodi ha saputo trasformare questo elemento di debolezza in forza, per imporre disciplina».
Ieri ha funzionato, assicura Enrico Letta: «C’era chi temeva che una riunione così ampia in piena finanziaria potesse trasformarsi in un boomerang, invece è servita a migliorare il clima». Certo battibecchi e contrasti non sono mancati, e dai primi interventi politici (Rutelli e poi Giordano) è apparsa chiara la distanza tra «riformisti» e «radicali». Il primo ha avvertito che «dobbiamo allargare il nostro consenso, non per inseguire il voto degli industriali ma per recuperare quello di autonomi, artigiani, piccole imprese: stavolta abbiamo vinto di poco, la prossima possiamo perdere». Il segretario di Rifondazione lo ha rimbeccato: «Rafforzare il consenso significa innanzitutto consolidare il nostro blocco sociale, a partire dal programma. Altro che fase due», e giù l’elenco di richieste: fondi alla ricerca, rinnovo dei contratti, garanzie per i redditi sotto i 40mila euro, e stop al dl sulle privatizzazioni dei servizi comunali della ministra rutelliana Lanzillotta, «irricevibile». Diliberto ha riaperto la questione Afghanistan: «Dobbiamo ritirarci subito». Di Pietro ha lanciato l’allarme Molise: «Rischiamo di perdere le regionali, la Cdl fa campagna elettorale mentre di noi non si vede nessuno». E ha polemizzato con Prodi: «Vorrei non dover leggere sui giornali gli emendamenti che riguardano il mio ministero». Prodi ha ribattuto secco: «Sarebbe bene che anche il tuo ministero informasse il premier dei suoi emendamenti».
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