Prodi dà l’ultima mazzata al Pd: progetto perdente, torniamo all’Ulivo

RomaEdmond Dantès c’è. Vive l’oscura vita da mediano prepensionato, ma lotta in mezzo a noi. Ben attento a non accelerare i tempi, ché il passato è passato, e la vendetta ha più gusto se servita sul piatto dai suoi acerrimi nemici. Meglio ancora, dagli amici che lo tradirono.
Restituite l’onore a Edmond Romano, per favore. È l’unico e ultimo grido in grado di dare un po’ di colore alle insegne sbiadite del partito venuto fuori da uno spunto d’Ulivo, e diventato poco più di uno spunto dialettico. La migliore stagione vissuta dal centrosinistra post-Tangentopoli coincide con quella del Professor Prodi, e dunque come tale va celebrata e ritenuta oro colato. Ricorda con ironia l’ex premier intervistato dal quotidiano belga Le Soir: «Hanno ragione gli ecologisti a dire che il c’è il cambiamento climatico: in Italia l’Ulivo è seccato, in Belgio invece cresce». Se in Vallonia e a Bruxelles l’alleanza tra Democratici, Socialisti e Verdi è verzura fresca, in Italia ha tenuto banco per decenni, fino a stuccare. Ma l’inventore, Romano Dantès, resta sicuro che l’innesto fosse giusto: «un’alleanza molto preziosa», la definisce. Forse ormai persino l’unica «in grado di far vincere i progressisti» (in Italia così è stato).
Non hanno ancora inventato di meglio per dare slancio alle forze riformatrici. «L’esaurimento del modello Ulivo in Italia - spiega il Professore - ha segnato il crollo totale delle forze riformiste e il trionfo di Berlusconi: la prova, per assurdo, della sua utilità». Per questo il Professore spera che il modello possa essere «ricostituito in seno al Pd», in un «grande congresso» al quale non parteciperà, unica chance concessa ai suoi amici d’un tempo per «conquistare l’Italia». Le sinistre che in Europa non seguono questa strada, osserva Prodi sulla base dei «fatti», disperdono voti e perdono le elezioni.
Il modello Ulivo, verso il quale s’è incamminato anche l’ex Pse con il gruppo europarlamentare oggi denominato Asde, «è un buon passo nella giusta direzione» e chi non lo capisce, come Rutelli, se ne dovrà fare una ragione. L’ex premier sembra voler muovere i fili dall’esterno per dare un po’ di smalto al Pd rovinato da Veltroni con la pretesa «autosufficienza». Considerando troppo debole la leadership di Franceschini, Prodi prepara il terreno per un successore con estrema prudenza. «Rinnovamento politico» e «ricambio generazionale» le parole d’ordine messe in circolazione, assieme all’idea - in apparenza poco più di una provocazione - lanciata da Bertinotti e Sansonetti di un ingresso in massa delle sinistre nel Pd, così da esaltarne la trasmutazione genetica. Non è esattamente la rivincita immaginata dal Professore, ma da lui viene vista con la bonomia del «purché se ne parli»: d’altronde non era questo il traguardo vagheggiato nella fase iniziale dell’Ulivo? Se allora i tempi non erano maturi, oggi la sparizione dal Parlamento di comunisti e socialisti rischia di consentire esiti del tutto originali. Tempi così grami, che persino l’Ulivo vive la stagione del rimpianto, e sono in molti a sperare sia un re-impianto.

Così Pierluigi Bersani, per ora l’unico candidato alternativo a Franceschini, sostenuto da D’Alema e (non a caso) da Letta, si mostra arcisensibile alle sirene uliviste del Professore. E riferendosi all’inno, sospira: «Mi piacerebbe tornare a cantare la Canzone popolare». Basta che il giardiniere non sia stonato.

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