Prodi incollato alla poltrona

Caro Granzotto, le vie di Roma sono percorse dagli zampognari e le vetrine sono tutte addobbate di luci e di festoni. Natale si avvicina. Una domanda, alla quale credo purtroppo di avere la risposta: Prodi mangerà il panettone a Palazzo Chigi? Il secondo, che poi sarebbe dire uno di troppo?


Gli risulterà amaro, gli resterà nel gargarozzo, gli si metterà sullo stomaco, ma è così, caro Rosati: Romano Prodi mangerà il panettone a Palazzo Chigi. Dopo quello che gli hanno fatto passare i suoi compagni di cordata, dopo quello che gli hanno detto - roba capace di annichilire un bisonte - sfidando l’abbiccì della fisica, smentendo perfino il buon Isacco Newton, Prodi là resta, a mezz’aria. Qualcuno afferma che questi sono, se non i miracoli, gli assurdi della politica. Mah. Secondo me la politica non c’entra. Mi spiego: constatato d’aver vinto per 24mila voti, un politico che avesse avuto senso dello Stato e pratica di governo avrebbe rinunciato a formarne uno (o deciso di metterlo in cantiere venendo a patti con un’opposizione che era tale, appunto, per la miseria di 24mila voti). Prodi, no. Per sopravvivere il governo si trovò subito costretto ad affidarsi al buon cuore d’un paio di venerandi senatori a vita. Un politico con la testa sulle spalle avrebbe gettato la spugna. Prodi, no. Oltre al percorso di guerra in Senato, il governo deve anche vedersela con i guastatori che agiscono al suo interno brillando mine a tutto spiano. Un politico con un minimo di dignità si sarebbe già recato al Quirinale. Prodi, no. Come non bastasse la guerriglia intra moenia, il governo prende botte da orbi dalla sua stessa maggioranza proprio mentre l’entrata in campo di Veltroni ne compromette fatalmente la leadership. Un politico fornito anche di modica quantità d’amor proprio li avrebbe mandati tutti a quel paese, sbattuto la porta e partito per ignota destinazione. Prodi, no.
Capisce, caro Rosati? Ci troviamo di fronte non ad un caso politico, ma ad un caso umano. Come quell’alfiere della Grande Armée che non mollò la bandiera, Prodi non molla la poltrona per motivi che esulano dalla sfera del razionale e del ragionevole. La conosce la storia? Narra, appunto, di un alfiere che a Lipsia tenne testa ad una trentina di prussiani che intendevano sottrargli lo stendardo con le aquile imperiali. A Fontainebleau, nel Cortile degli addii, Napoleone volle stringere la mano al valoroso grognard: «Mi dicono che avete rintuzzato ben nove attacchi nel corso dei quali foste ripetutamente ferito». E l’altro: «Sì, mio Imperatore». «Non vi siete mai dato per vinto, mai». «Jamais, mon Empereur!». «Tutto ciò per il tuo Imperatore». Un po’ imbarazzato, l’alfiere scosse la testa. «Ah, bon, per la Francia allora». Nuovo cenno di diniego. «Capisco, mon brave, vi siete battuto mettendo in gioco la vostra vita per l’onore del reggimento». «No».

Napoleone cominciava a perdere la pazienza: «Ma insomma, per nove volte quegli unni ti si sono avventati contro impadronendosi dell’insegna imperiale, mi spieghi perché diamine per tutte le nove volte hai voluto ristrappargliela di mano?». E il vecchio soldato, alzando le spalle: «Così... per tigna».

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