Era molto irritato ieri il premier. Aveva pregustato di festeggiare in serata una rapida vittoria sulla Finanziaria, e di apparire trionfatore sui giornali di oggi.
Invece, la celebrazione della «mancata spallata», preparata da giorni attraverso una suspense alimentata dallo stesso centrosinistra, che è riuscito persino a pilotare le notizie di tentate compravendite di voti, è rinviata. E la snervante giornata fotografa una maggioranza brancolante, costretta a continui compromessi interni per inseguire ministri dissenzienti e senatori in odor di tradimento. L’irritazione di Prodi si concentra su Dini, che sfida a venire allo scoperto visto che «vuole spegnermi la luce». E sul presidente del Senato e le sue mediazioni con l’opposizione. Palazzo Chigi sottolinea che «il rinvio è una scelta di Marini», che «va rispettata», ma certo non condivisa. «Non si può cedere al ricatto dell’opposizione», si è sfogato il premier. A mandarlo su tutte le furie è stata la sensazione che Marini avallasse il tentativo della Cdl di costringere il governo a mettere la fiducia, a causa dell’esasperante allungamento dei tempi. Una fiducia d’emergenza, che avrebbe trasformato la sua vittoria in una mezza sconfitta, rovinando l’impatto d’immagine su cui conta Prodi. Marini ha discretamente sondato la maggioranza sulla possibilità della fiducia, la capogruppo Pd Finocchiaro si è opposta, il premier ha subito dato l’altolà pubblico. Prodi è deciso a resistere a qualsiasi evenienza: sa che in queste ore supplementari la Cdl proverà a convincere quel pugno di senatori borderline che bastano a togliergli la maggioranza a dissociarsi pubblicamente dall’Unione, pur votando sì alla Finanziaria.
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