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Prodi prenota la pensione in Europa

Caro dottor Granzotto, ormai non ci sono più dubbi sul governo Prodi, destinato a cadere a breve termine. Probabilmente ha ragione lei e si andrà a votare a ottobre, subito dopo San Cirillo per via delle pensioni dei parlamentari, ma Prodi dovrà andare a casa prima di quella data e la spallata per ironia della sorte gliela darà proprio Walter Veltroni. La mia domanda è: cosa farà Prodi una volta mollata la poltrona di Palazzo Chigi? Ce lo ritroveremo in corsa per il Quirinale, presidente della Rai o di Alitalia?


Molta bici, tanto struscio sotto i portici bolognesi del Pavaglione, qualche malinconica schitarrata in casa di Silvio Sircana, alcune rimpatriate al castello di Bebbio. Queste, per sommi capi, saranno le occupazioni del pensionato Prodi Romano, caro Ricolfi. L’uomo ha ovviamente altri e più ambiziosi progetti (il primo, inconfessato e inconfessabile, strozzare - oh, metaforicamente, cosa ha capito, caro Ricolfi? - con le proprie mani Walter Veltroni. In alternativa, appenderlo allo striminzito ramo d’ulivo che compare di sguincio nel logo del nuovo partito), ma purtroppo per lui non c’è, come si scherza a Roma, trippa per gatti. Nel loft del Piddì, per dire, non gli hanno riservato non dico una stanza, non dico una scrivania, ma nemmeno uno sgabello. Se mai volesse farci una capatina - egli ne è pur sempre il presidente - gli toccherà starsene in piedi. E col cappello in mano. Di tornare a fare il boiardo, poi, nemmeno se ne parla: negli ambienti politici e industriali il ricordo - e le macerie - della sua presidenza all’Iri fanno ancora venire la pelle d’oca. Nessuno, che non sia fuori di testa, gli affiderebbe un nuovo incarico, ma cosa dico incarico, nemmeno una sinecura all’Acquedotto Pugliese. Capace, infatti, che possa far danni anche lì.
Lasciandosi ben ben frollare a Palazzo Chigi, Prodi ha perso anche il treno per candidarsi alla presidenza della Repubblica, carica ora in appalto ai due big party, quello di Berlusconi e quello di Veltroni, entrambi non proprio estimatori di testa quedra. Consapevole di ciò, egli insegue un sogno, quello di ritornare, alla grande, nei piani altissimi - e pertanto prestigiosi oltre che lautamentissimamente retribuiti - di Eurolandia. Dimentico del malcontento e del sarcasmo che accompagnarono la sua esperienza di presidente della Commissione europea, Prodi vagheggia infatti la poltrona di capo del Consiglio europeo, l’istituzione che riunisce i Capi di Stato o di governo dell’Unione definendone le linee guida della politica. Un fior di posto che però viene attribuito ad un personaggio di peso e prestigio internazionale ed infatti il candidato col maggior consenso è Tony Blair che unisce esperienza, uso di mondo e strette relazioni coi potenti della terra. E qui viene il bello: pensando d’essergli migliore, da qualche tempo Prodi tenta di fargli le scarpe. Ultimamente è persino andato a dire ad Angela Merkel che siccome è saggio tenere il basso profilo, al Consiglio europeo starebbe meglio un politico d’un Paese di mezza tacca. Un italiano, ad esempio, e magari che fa di nome Romano Prodi.

Pare che la Merkel l’abbia guardato come si guardano quelli che dicono di essere Napoleone. Ma ci scommetto che Prodi, da fine politico qual è, l’ha presa per un consenso. Vedendosi già a Bruxelles e non per altro, ma per togliersi il gusto di far fare anticamera a Walter Veltroni.

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