Roberto Scafuri
da Roma
La partita politica è dura. Quella parlamentare, tanto per cambiare, ancora di più. In settimana laccelerazione decisiva: si va infatti verso un decreto unico per il rientro dei soldati italiani dallIrak e per il rifinanziamento delle altre missioni, in primis quella in Afghanistan. La richiesta di nuovi mezzi e soldati per il contingente di stanza a Herat (circa 700 chilometri a Ovest di Kabul), invece, non sarà contemplata nel decreto ma, eventualmente, da altro provvedimento. Quasi inevitabile, in presenza di un unico decreto, che il premier Prodi finisca per porre la questione di fiducia (ma a parole nessuno la vorrebbe). Altrettanto sicuro pare che la discussione parlamentare si incentrerà su una mozione che accompagnerà il decreto: in essa si cercherà di fare un bilancio, anche economico, dellimpegno italiano nel mondo in questi ultimi anni e di tracciare le linee di quello futuro. Magari con qualche elemento di «discontinuità», come chiede la sinistra radicale.
Lo strumento della mozione ha già laccordo di massima dei capigruppo dei maggiori partiti, ma la sua formulazione richiederà sforzi notevole per tenere assieme tutte le componenti di una maggioranza che il presidente della Camera, Fausto Bertinotti, in unintervista a Repubblica dichiara «eterogenea». «Un eufemismo», ironizza il capogruppo dellUdc al Senato, Francesco DOnofrio, escludendo che il suo partito possa votare «sì» al rifinanziamento delle missioni in «discontinuità» con il resto della Cdl: «Avremo un atteggiamento comune», garantisce DOnofrio. Ma molto dipenderà dalle offerte della maggioranza, che proprio in virtù di un voto «dissonante» dellUdc potrebbe optare «salvificamente» per la questione di fiducia: «Un modo per scongiurare voti che snaturerebbero la maggioranza», dice lala più di sinistra dellUnione. Il pericolo è ben presente a Bertinotti, che parla di un «disegno preciso» per «mettere in discussione questa alleanza». In soldoni, denuncia il presidente della Camera, «nostalgici delle politiche liberiste degli anni Novanta, penso ad alcuni settori di Confindustria, vorrebbero ridurci a un ruolo di intendenza, metterci ai margini dopo averci utilizzati per sconfiggere le destre». Anche per questo Rifondazione sta facendo la sua parte sulla partita del rifinanziamento delle missioni, nonostante la forte opposizione interna. Dopo Franco Giordano, che ha rimesso la palla a Prodi, i capigruppo parlamentari e il designato per il tavolo dellUnione, Ramon Mantovani, cercano di scongiurare brutte sorprese. Bertinotti, con la sua intervista, ha dato il «via libera» al rifinanziamento, distinguendo nettamente tra Irak e Afghanistan (cosa che farebbe propendere per due diversi decreti anziché uno solo): «La situazione a Kabul è diversa. La guerra in Irak è stata nella storia del nostro Paese un caso unico... non paragonabile alle aree di crisi internazionale».
Però il presidente della Camera ha anche ricordato lesigenza di «riposizionarsi come forza di pace nel mondo, ridefinendo la collocazione di tutte le sue truppe dislocate nel mondo sulla base di unanalisi aggiornata delle varie situazioni». È ciò che il capogruppo dei senatori di Prc-Sinistra europea, Giovanni Russo Spena, chiede per lAfghanistan: «Noi non diciamo: via domani da Kabul. Vogliamo però che si apra una strategia di uscita per i militari impegnati in una condizione che neppure garantisce la loro sicurezza e poter riconvertire la missione in aiuti civili per la popolazione». Eppure il 75 per cento dei soldi spesi nella missione viene utilizzato per la sicurezza delle truppe: motivo in più, dice Russo Spena, per definire «fallimentare» il bilancio anche economico delle missioni, visto che meno di un decimo dei finanziamenti va alla cooperazione e alla ricostruzione dei Paesi «aiutati».
Il dibattito, in seno al governo, è aspro. Perché alla Difesa ribattono che chiedere elicotteri e uomini in più, come ha fatto il generale Errico, è indispensabile proprio per la sicurezza, oltre che per garantire migliori risultati ai progetti di ricostruzione. Senza contare che il contingente in Afghanistan è già variato altre volte, nel corso della missione, da un massimo di 2.200 uomini a un minimo di 1.400 (oggi ce ne sono 1.500) a seconda dellaumento o della diminuzione delle responsabilità. Ma se la situazione a Kabul peggiora - la Nato ha già chiesto allItalia aerei da guerra, rifiutati -, la sinistra radicale teme «unestensione bellica dellintervento, non sostenibile per i pacifisti».
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