«Ma Prodi riconosca il ruolo del Nord»

Appello della Moratti. Formigoni: «Qui abbiamo fatto il nostro dovere, altrove no». La Russa: «Astensioni nella Cdl»

Sabrina Cottone

Dici Lombardo-Veneto e vengono in mente le Cinque Giornate, i moti del 1848, la voglia di indipendenza. Corsi e ricorsi, ecco Lombardia e Veneto a scrivere nuove pagine in controtendenza, sogni di riforma e di nuovo, la vittoria del sì che si infrange sul muro dei No del resto d’Italia. «In Lombardia e Veneto abbiamo fatto fino in fondo il nostro dovere, non semplicemente mantenendo i nostri voti ma migliorandoli ulteriormente. Altrove non è accaduto» dice Roberto Formigoni. Il presidente della Regione lancia una stilettata anche in direzione di Milano, dove il sì ha perso 47 a 52: «Non vorrei che abbia contato la non ottimale partenza del consiglio comunale venerdì scorso».
Dichiarazioni che lo lasciano isolato. Letizia Moratti non raccoglie nemmeno la provocazione. Il sindaco esce rafforzato dai risultati di ieri, che confermano l’importanza della sua figura nel risultato elettorale per Palazzo Marino. Così preferisce insistere sulla necessità del dialogo e del cambiamento e lancia un appello a Prodi: «Al Governo chiediamo di riconoscere le ragioni di quella parte d’Italia che maggiormente contribuisce alla ricchezza del Paese e che non può essere penalizzata, alla quale debbono essere riconosciute le condizioni per essere sempre più motore dello sviluppo di tutta Italia». Un’analisi in qualche modo condivisa da quella sinistra che intravede una questione settentrionale. «I milanesi si aspettano ora dal governo Prodi una vera riforma federale» rilancia il presidente della Provincia, Filippo Penati. Va ancora oltre il diessino Emanuele Fiano, ex capogruppo in consiglio comunale e oggi deputato: «Dobbiamo farci portavoce della domanda di sviluppo che viene dal Nord».
Sulla stessa linea della Moratti, con toni più polemici, la coordinatrice regionale di Forza Italia, Mariastella Gelmini: «È un ultimatum lanciato dalla Lombardia. Il governo Prodi non può non tenere conto delle ragioni del No». La Gelmini invita a un mea culpa su Milano: «Abbiamo commesso errori di comunicazione. Milano è una città metropolitana complessa, dove non bastano gli slogan. Forse avremmo dovuto concentrarci di più sui contenuti». Tiziana Maiolo, commissario cittadino vicario di Forza Italia, minimizza: «È un voto che non cambia nulla sul piano politico. Il nostro è un elettorato volatile, che ha votato già due volte in pochi mesi». Il vice Maurizio Lupi parla di rivedere la formula del centrodestra: «Dobbiamo riflettere su quale volto nuovo dare alla Cdl e ripartire dal Nord».
Ignazio La Russa, capogruppo di An alla Camera, ammette: «Anche i nostri non sono andati a votare. A me sembra un miracolo già questo risultato, che dimostra come anche nelle situazioni più difficili Milano e la Lombardia seguano la Cdl». Qualche malumore nella Lega.

Il segretario provinciale, Massimiliano Orsatti, legge nei risultati una conferma del peso lumbard: «I sì vincono dove la Lega è forte». Ma c’è chi, come Matteo Salvini, lancia un segnale di allarme: «È una sconfessione dei cinque anni di governo e della riforma. A questo punto dovremmo correre da soli».

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