Prodi saluta Blair con l’addio all’Irak: «Ci ritiriamo»

Visita a sorpresa del premier inglese a Roma. «Decisione presa, i ministri della Difesa definiranno la partenza»

Sandro Astraldi

da Roma

Proprio nel giorno della Festa della Repubblica - con tanto di parata militare (sia pur ridotta) ai Fori -, Romano Prodi fa la festa alle Forze Armate. Via dall’Irak. «La decisione è presa» e ora resta solo «da concordare presto i modi del rientro» annuncia, grave in volto, il presidente del Consiglio dopo una colazione di lavoro che ha avuto ieri con Tony Blair, inatteso ospite a villa Doria Pamphili.
Ha seminato qualche perplessità il rapido faccia a faccia tra Prodi ed il premier britannico. Certamente era inatteso (anche se l’inquilino di Downing Street era in vacanza in Italia). Buffo poi che dall’appuntamento sia emersa la decisione della fuga da Nassirya quando, solo qualche giorno fa, il nuovo ministro della Difesa Parisi recatosi là in visita aveva avanzato qualche cautela sui tempi dello scioglimento dei ranghi. Anche le fonti britanniche, interrogate sul summit hanno incrementato qualche interrogativo. «La posizione italiana era nota da tempo - hanno infatti riferito diplomatici del governo di Londra - ma Blair voleva informazioni di prima mano...».
Parisi precisa che «stiamo ragionando sulle date, sul dettaglio», ma aggiunge che comunque il ritiro avverrà «entro l’anno», perché questo «era l’impegno preso con i cittadini». Il ministro ne parlerà l’8 giugno a Bruxelles, quando vedrà il segretario americano alla Difesa Donald Rumsfeld e forse anche il suo collega britannico Des Browne. Par di capire - da quel che è filtrato - che all’interno della maggioranza di governo dell’Ulivo, dopo qualche tira e molla, la situazione sia precipitata. E che a prevalere sia stata la squadra del «ritiro senza se e senza ma». Prodi a quel punto avrebbe informato Blair (visto che le nostre truppe agiscono in territorio controllato dai britannici). Di qui, la calata nella capitale del premier inglese, perché sgombrare Nassirya e cioè il raccordo tra nord e sud del Paese, crea rischi seri. Ma anche sui tempi del ripiegamento, qualche disparità s’è intravista: se i due governi concordano che questi verranno decisi dal faccia a faccia tra Parisi e Browne, Prodi ha fatto capire che l’incontro sarà l’8 giugno, a latere di un vertice Nato a Bruxelles, già in calendario, mentre le fonti diplomatiche inglesi sono andate coi piedi di piombo: «Non ci può ancora essere una data certa».
E alcune voci circolate in giornata, volevano che Blair avrebbe sottoposto a Prodi l’idea di aumentare il nostro contingente in Afghanistan a fronte dal ritiro iracheno, permettendo insomma agli inglesi di sganciare truppe da Kabul per dirottarle verso Nassirya. Ma il presidente del Consiglio ha smentito - almeno formalmente - questa possibilità. «Di Afghanistan non abbiamo parlato» ha risposto secco. A questo punto comunque, l’annuncio, formale, è stato dato da Prodi in prima persona: «L’Italia ha deciso il ritiro delle truppe». Si tratta di trovare una intesa tra Parisi e il suo omologo inglese in modo che «la situazione non vada fuori controllo e non si perdano gli elementi di sicurezza necessari» come ha rilevato lo stesso premier. Il quale ha tenuto più di conto le spinte degli alleati di sinistra (Prc, comunisti e verdi) che i colpetti di freno che gli giungevano dalle zone più moderate della coalizione.

E non si è preoccupato più di tanto di un nuovo allarme dell’ambasciatore iracheno in Italia, Al-Amili, il quale ha detto di «rispettare la decisione del governo» e di aver apprezzato «quanto l’Italia ha fatto» per il suo Paese, ma ha anche aggiunto di sperare che «il ritiro avvenga con scadenze temporali che non lascino vuoti di sicurezza».

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