Prodi scavalca D’Alema e si avvicina a Bush

«Grazie per il tuo interessamento» è la frase che Palazzo Chigi attribuisce alla Casa Bianca

Laura Cesaretti

nostro inviato

a San Pietroburgo

Mediatore no, per carità: «Nessuno può essere mediatore» nel Medio Oriente di nuovo in fiamme, mette le mani avanti Romano Prodi. Ma dopo il suo primo incontro da premier con George (Bush, naturalmente) a margine del G8 di San Pietroburgo, dove da ieri pomeriggio sono radunati i capi di Stato e di governo dei grandi Paesi, Prodi ci tiene a definirsi davanti ai giornalisti il «facilitatore» dei primi contatti tra le parti in causa, e a ritagliarsi un ruolo che gli dia una qualche visibilità al summit russo (dove lo scontro mediorientale è divenuto inevitabilmente il primo punto in agenda) e che possa avere una positiva ricaduta anche a casa, dove le polemiche interne alla maggioranza sulla politica estera continuano a infuriare.
Ancor prima di sbarcare in Russia, Prodi si è fatto precedere dalle notizie del suo attivismo telefonico. Contatti con il negoziatore iraniano sul nucleare, Ali Lariani, due colloqui con il dittatore siriano Assad (una la scorsa notte e la seconda dopo l'incontro con Bush), tre con il premier libanese Fuad Siniora, uno con quello israeliano Ehud Olmert, proprio sulla pista dell'aeroporto russo dove il Chigi One era appena atterrato: e dallo staff prodiano ci tengono a sottolineare che «siamo probabilmente gli unici che in questo momento possono parlare con Damasco che con Tel Aviv». E Bush se ne sarebbe mostrato grato: «Grazie di darti da fare su questo», è la frase del presidente Usa che viene riferita dalla delegazione italiana.
Come a voler dire che la famosa «equivicinanza», l’antica linea filoaraba di andreottiana memoria più volte difesa in queste settimane dal ministro degli Esteri D'Alema, dopotutto ha i suoi vantaggi. E d'altronde anche nella Prima Repubblica capitava che l'amministrazione Usa chiedesse all'Italia di Andreotti, visti i buoni rapporti, di sondare per suo conto il temibile Assad padre.
Certo, proprio sull’«equivicinanza» che ha portato l'altro giorno Prodi a «deplorare» Israele si è diviso il governo, con Emma Bonino dura contro gli eccessi di critica e Francesco Rutelli attento a smussarli. È però apparso chiaro, al termine del faccia a faccia Bush-Prodi, che il premier italiano ha dovuto dare una «registrata» a una posizione che agli occhi degli Usa era probabilmente apparsa come troppo sbilanciata ai danni di Tel Aviv.
E quindi ecco la precisazione: il governo italiano condivide «con Washington e con gli israeliani» la valutazione che «la condizione pregiudiziale» per arrivare a una tregua è «la non presenza di Hezbollah armati» nel Libano del Sud: prima se ne vadano loro, poi Israele tratterà la tregua. Roma, quindi, si allinea alla posizione americana sul disarmo dell'organizzazione terroristica protetta e alimentata da Iran e Siria, e riequilibra così le critiche rivolte alle reazioni militari di Tel Aviv. Al tempo stesso, Prodi sottolinea che anche Bush si è mostrato «molto attento a quanto detto da Siniora sugli effetti delle operazioni militari sulle infrastrutture in Libano».
Poco o nulla, naturalmente, trapela sul contenuto delle telefonate: certo Prodi ci tiene a precisare che non è vero, come sostiene la Siria, che lui e Assad avrebbero parlato di «aggressione» da parte di Israele al Libano: «Il commento di Damasco è di Damasco», dice il premier prendendone diplomaticamente le distanze dopo la chiacchierata con Olmert che si era manifestato molto irritato. E raccontando piuttosto di aver «fatto presente ad Assad la necessità di far entrare subito» nel suo Paese i 300 italiani ed europei che sono stati bloccati alla frontiera: «Mi ha assicurato che si sarebbe adoperato immediatamente, nel colloquio che abbiamo avuto proprio adesso», racconta Prodi. Lasciando ai suoi il compito di spiegare che evidentemente il premier italiano si è fatto tramite fra Olmert e Assad, al quale probabilmente ha riferito anche i messaggi americani.


Che ciò possa avere conseguenze positive sulla drammatica situazione mediorientale è tutto da vedere, e la prudenza con cui Prodi ha bloccato ogni enfatizzazione di presunte «mediazioni» italiane lo dimostra. Ma intanto è servito ad assegnare al premier l'etichetta tutta nuova di «facilitatore» e a incassare un thank you da Bush.

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