Luca Telese
da Roma
E meno male che era rimasto in silenzio. Dopo un mese di no comment, di dice e non dice, di pressanti inviti a manifestare solidarietà, finalmente Romano Prodi ha parlato, con una lunga lettera a La Stampa. Ora: vi risparmiamo le prime centocinquanta righe, e saltiamo direttamente a quella aguzza e acuminata colonnina finale, una sorta di stiletto piantato nel cuore dei fratelli-coltelli diessini, che vi offriamo come la Divina commedia agli studenti dei licei, con le note e le interpolazioni necessarie a sviscerarne il senso. Prima leggetele così, nella versione originale: «È giunto il momento per la politica - scrive Prodi - di fare un passo indietro e qualche passo avanti. Un passo indietro per allontanarsi e allontanare da sé i sospetti di vicinanza e collusione con i grandi centri del potere finanziario».
Ecco, basta aggiungere un nome per illuminare il senso, e capire dove va a piantarsi quella lama: se ci fossero ancora i fogli frizzanti di Cuore, il feroce settimanale «di resistenza umana» che fu la colonna sonora della politica nei burrascosi anni novanta, il papirone di Prodi sarebbe subito finito in una rubrica che si intitolava splendidamente «parla come mangi», e declinava in versione parallela documenti e dichiarazioni politiche, affiancandole a un testo prosaico che ne riassumeva il vero significato. Il leader dellUlivo, invece, non ha bisogno di grandi interpolazioni perché tutti capiscano che quelle righe spietate sono per i l leader dei Ds e il gruppo dirigente del partito: «È giunto il momento, per la politica (e per Fassino, ndr.) di fare un passo indietro e qualche passo in avanti. Un passo indietro per allontanarsi e per allontanare da se (e dai Ds ndr.) il sospetto di collusione con i grandi centri del potere economico e finanziario». Ovvio che ieri pomeriggio, anche senza «sottotitoli» sono bastati pochi lanci di agenzia perché i dirigenti del Botteghino capissero che quegli strali erano rivolti contro di loro. E infatti, a stretto giro di posta, erano in rete una dichiarazione pro-forma di Fassino, e una fuori dai denti del capogruppo al Senato Gavino Angius, indispettito per la «mancata solidarietà». Solidarietà? Reprimenda a parte, quello di Prodi pareva un promemoria per voltar pagina, un manuale su come procedere alla decapitazione e al dissolvimento della mela marcia dei Ds nella lavanderia ulivista del partito democratico: «La politica deve essere altra dai grandi centri del potere economici e finanziario (immaginatevi che mentre Prodi scriveva queste righe rileggesse lintercettazione della telefonata entusiasta di Fassino a Consorte: «E allora, siamo padroni di un banca!?», ndr.) deve governare, orientare, vigilare, se è il caso punire» (immaginatevi la lettura di queste frasi, ieri, al Botteghino). Ma non era finita: «La politica non deve partecipare alle vicende delleconomia, ma essere interlocutore forte e indipendente di chi è chiamato ad assumere decisioni operative» (e ancora una volta, per meglio capire il testo, aggiungete il virgolettato delle intercettazione che lo hanno ispirato, con Fassino che dice al manager rosso: «Prima portiamo a casa tutto: tu che operazione fai dopo questa? Hai già lanciato lOpa obbligatoria?»).
Il resto, è acqua per allungare il brodo e addolcire la pillola: Prodi si chiede «come riconquistare la fiducia della gente» eccetera, ma aggiunge: «Su Popolare e Unipol non è stata violata la legge, ma si è andati oltre i confini dellopportunità politica» (non serve fantasia per immaginarsi Prodi che legge la lettera in cui Fassino diceva: «Disturba che le Coop entrino nelle banche». Certo).
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