Prodi: soldati in Libano. D’Alema: ma anche a Gaza

Smentita la richiesta a Teheran di «una mediazione»

Laura Cesaretti

nostro inviato

a San Pietroburgo

Ci son volute quasi ventiquattr'ore, ma alla fine Romano Prodi ha utilizzato la conferenza stampa finale del G8 per chiarire interrogativi e dubbi sul ruolo dell'Iran nella crisi mediorientale e sul rapporto tra Roma e Teheran. Oltre che per annunciare la «completa adesione» dell'Italia alla proposta di Kofi Annan di una forza di interposizione Onu nel Sud del Libano. «Ne parlerò stasera con Ehud Olmert, abbiamo un appuntamento telefonico», spiega. Quanto al governo italiano, «sosteniamo con forza e convinzione quest'idea e siamo disponibili a contribuire» con l'invio di contingenti italiani: «Ne ho già parlato con il ministro degli Esteri e con quello della Difesa, chiedendo loro di mettersi subito al lavoro con l'Onu per essere pronti, nel caso in cui la decisione venga presa», in sede di Consiglio di sicurezza e naturalmente con l'avallo di «tutti i Paesi della regione».
Ma intanto da Israele arriva già una prima bocciatura dell'ipotesi, proprio mentre Massimo D'Alema (che descrivono irritatissimo per l'intervista al Corriere della Sera con cui Giuliano Amato ha bocciato la sua linea «equivicina» e spiegato alla sinistra che è in gioco il destino stesso di Israele) suggerisce che i caschi blu vengano spediti anche a Gaza, evidentemente a bloccare gli israeliani. E la traballante carovana della politica estera italiana continua a sbandare, mentre il premier tenta di derubricare i contrasti nella maggioranza a «utili discussioni». Lui fa l'ottimista, e conta che «le decisioni continuino ad essere unanimi», a cominciare ovviamente dall'Afghanistan.
Prodi ce l'ha messa tutta (prima che gli arrivasse tra capo e collo da Roma il rilancio di D'Alema) per cercare di raddrizzarla, quella carovana. Il premier italiano smentisce con grandissima energia che agli ayatollah possa essere stata da lui richiesta una qualsiasi «mediazione», e lascia intendere di non aspettarsi nulla di buono da Teheran, spiegando che per ora le loro risposte sono state «ambigue». «Ho letto - esordisce prima ancora che la questione venga sollevata dai giornalisti - che avrei chiesto la mediazione dell'Iran. Non so come sia nata questa idiozia, ma non ho mai fatto mediazioni con nessuno». E spiega, a beneficio dei presenti e pure degli assenti (perché anche a livello internazionale quell'indiscrezione di «fonti diplomatiche italiane» su Ahmadinejad mediatore tra Israele e i suoi mortali nemici aveva creato qualche sconcerto) che per quanto lo riguarda, con la sua girandola di telefonate tra Damasco e Beirut, Teheran e Gerusalemme lui ha solo «cercato di facilitare i contatti» tra le parti. All'iraniano Larijani, spiega, si è limitato a riferire le condizioni dettate da Olmert «sull'urgenza di rilasciare i prigionieri israeliani e su quella che gli Hezbollah armati lascino il sud del Libano e non lancino più razzi verso Israele». E «guarda caso», sottolinea, sono proprio «le condizioni uscite pubblicamente», e riprese anche nel documento finale del G8.
Prodi precisa di non essere investito o autoinvestito di alcun ruolo ufficiale: «Un mediatore ha in mano termini e limiti circostanziati e un quadro di riferimento preciso nell'ambito di un mandato. Cosa che io assolutamente non ho». Anche perché sui torti e le ragioni in Medio Oriente mostra di avere idee piuttosto chiare, e allo stato collimanti più con quelle del suo ministro degli Interni che con quelle del ministro degli Esteri. Prodi sottolinea più volte il «diritto all'autodifesa» di Tel Aviv.

Risponde duro ad un giornalista che gli chiede se gli attacchi di Hezbollah non siano usati come una «scusa» da Israele: «Quegli attacchi sono realtà, non scuse: sono attacchi veri, inaspettati e massicci. Ieri Olmert mi ha raccontato che sono stati contati ben mille razzi» lanciati sul proprio territorio.

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