Prodi va in Africa, Fassino in Asia Veltroni è l’unico che resta a casa

L’ex premier guiderà un comitato di esperti Onu per le operazioni di peacekeeping nel continente

Obiettivamente, una certa esperienza in materia, Romano Prodi ce l’ha. Perché, per uno che ha gestito i vertici dell’Unione ed ha fatto finta per due anni di avere una maggioranza che andava da Caruso a Dini e da Turigliatto alla Binetti, occuparsi di interventi di peacekeeping in Africa gestiti dall’Unione Africana su mandato dell’Onu, è una passeggiata di salute. Sta di fatto che l’ex premier italiano si occuperà proprio di questo. In fondo, sempre di Unione si tratta.
Non è dato sapere quali siano i gusti musicali di Ban Ki-Moon, il segretario generale dell’Onu. Ma il sospetto che conosca alla perfezione le canzoni di Francesco De Gregori, un po’ viene. Perché la prossima nomina di Romano Prodi sembra quasi la trasposizione su carta intestata delle Nazioni Unite di Pezzi, canto degregoriano che recita: «Ognuno è fabbro della sua sconfitta e ognuno merita il suo destino. Chiudi gli occhi e vai in Africa, Celestino!».
Mancano i timbri dell’ufficialità. Mancano i commenti ispirati, a occhi chiusi, esse sciolte e labbra serrate del diretto interessato: «Non commento una nomina dell’Onu che non è ancora avvenuta». Mancano i festeggiamenti dell’Unione. Mancano persino i nomi delle fonti che annunciano «che Prodi guiderà un gruppo di esperti gestito dalle Nazioni Unite e dall’Unione Africana che inizierà i suoi lavori settimana prossima», pregando di rimanere riservate, forse perché un po’ trasecolano pure loro.
Ma, al di là di tutte queste importanti carenze, ormai pare certo: l’ex presidente del Consiglio italiano guiderà un gruppo di esperti incaricato di redigere un rapporto sugli interventi di pacificazione e sulle forze di interposizione in Africa. Che non c’entra moltissimo con l’Iri, che non c’entra moltissimo con l’Unione, che non c’entra moltissimo con l’Italia, ma che è solo l’ultimo tassello della strategia ben delineata nel 1998, ai tempi del primo governo Prodi: quella dell’Ulivo planetario.
Piccolo riassunto per i non addetti ai lavori e ai livori del centrosinistra italiano. La collezione primavera-estate ’98 delle dichiarazioni politiche dei leader ulivisti verteva sulla costruzione di un Ulivo planetario, i cui capisaldi sarebbero stati Bill Clinton, Tony Blair e Romano Prodi, per interposto Walter Veltroni, allora vicepremier. Era chiaro a chiunque che non si trattava di una cosa seria e che Clinton e Blair avevano di meglio da fare che occuparsi di gemellaggi con una forza che già faceva fatica a tenere insieme la Sbarbati con La Malfa e la Valpiana con Crucianelli. A chiunque, ma non alla stampa italiana: a pagina 2 del Corriere della sera del primo luglio 1998, tanto per dirne uno, ma è solo un esempio, campeggiava il titolone: «Ulivo “mondiale” al via in autunno». Con quel «mondiale» fra virgolette un po’ timide, quasi a significare che «planetario» era troppo lungo e non ci stava in un titolo.
Ecco, è chiaro che di quel progetto non se ne è fatto nulla. Clinton spera in Hillary per il 2012; Blair fa un altro mestiere e, se ha fatto un asse, l’ha fatto con Silvio Berlusconi e non con quelli dell’Ulivo mondiale. E, così, gli unici che sono rimasti ad occuparsi di conquistare il mondo, visto che non riescono a conquistare l’Italia, sono gli esponenti del centrosinistra di casa nostra.
A fare da apripista è stato Massimo D’Alema che - secondo i giornali italiani - da ministro degli Esteri ha fatto colpo su Condoleezza Rice, «Condi» per gli amici, ammaliata dal suo indubbio fascino. Ma, fin qui, era normale amministrazione, soprattutto per uno come Max.
Poi, è toccato a Piero Fassino, inviato speciale dell’Unione Europea in Birmania, anzi in Myanmar, come il regime vuole che si chiami quello sventurato Paese.
Ora, tocca a Prodi scelto dall’Onu - organizzazione internazionale sempre meno incisiva e sempre più scolorita, quando non dannosa - per il suo programma africano. Una scelta che ha scatenato tutti i dichiaratori settembrini di buona Volontè. A partire da Luca, (Volontè, per l’appunto), deputato Udc che è stato il primo a firmare la battuta più scontata e ovvia, ma difficile da non fare, legata all’evento: «Ormai non c’è più speranza per il continente nero». E del gioco degli specchi africano fra Prodi e Veltroni si sono occupati anche il presidente dei senatori del Pdl Maurizio Gasparri («Stia attento che Prodi non gli rubi il posto anche lì») e il deputato leghista Pierguido Vanalli. Mentre il ministro per l’attuazione del programma di governo Gianfranco Rotondi, uno che non parla male di nessuno nemmeno sotto tortura e che è quasi la quintessenza dell’essere democristiano, ha provato ad essere serio: «Sarebbe un giusto riconoscimento per l’ex presidente del Consiglio e un motivo di orgoglio per il nostro Paese».
Resta Veltroni. Aveva detto che sarebbe andato in Africa, sfidando Fabio Fazio a verificare a distanza di anni le sue parole, ma ha cambiato idea.

Almeno per ora, visto che le sorti del Pd potrebbero far pensare a un ritorno di fiamma per la prospettiva africana. Canta ancora De Gregori: «Ognuno porta la sua croce/ Ognuno inciampa sul suo cammino/ Apri gli occhi e vai in Africa, Celestino!». Profetico.

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