Prodi vince le primarie e detta le condizioni

I timori di D’Alema: «Non alimentiamo polemiche con gli alleati ulivisti»

Laura Cesaretti

da Roma

Incassa, Romano Prodi. Incassa il successo «straordinario» e al di sopra delle aspettative di partecipazione alle primarie: oltre 3 milioni, «potremmo arrivare a 3 milioni e 300mila», azzardava verso mezzanotte il diessino Chiti. Incassa una percentuale di preferenze oltre il 70 per cento, che lo legittima inequivocabilmente come leader dell’Unione. Incassa anche un sostanziale ridimensionamento delle aspettative di Fausto Bertinotti, che si ferma intorno al 15 per cento e sarà meno ingombrante al tavolo delle trattative programmatiche. Tutto questo, tengono a sottolineare fassiniani e Margherita, lo ha ottenuto «grazie alla mobilitazione dei partiti». Ma da oggi, però, Prodi ha una carta in più in mano rispetto a quei partiti, e una carta fortissima.
Era radioso ieri notte, il Professore, e dal suo punto di vista ha buone ragioni per esserlo. E non ha aspettato neppure un attimo per dettare le sue condizioni, dal palco estemporaneo piantato in mezzo a piazza Santi Apostoli circondato dai sorrisi un po’ tirati dei suoi alleati: le primarie, spiega, servivano per «scegliere un leader, un progetto e anche un soggetto politico adeguato a realizzarlo». E dunque, promette, «io lavorerò per un vero Ulivo e una grande Unione». I sorrisi che lo circondano (Fassino, Rutelli, Boselli, D’Alema, Marini) si fanno ancora più tirati. La partita interna al centrosinistra è ufficialmente aperta. Gli uomini del Professore non esitano a tradurre in termini concreti la faccenda: «Il vero Ulivo è quello che ha il suo simbolo sulla scheda». E «che non è un tram», chiosa Parisi: non deve essere un escamotage di passaggio, ma un «soggetto» politico a tutti gli effetti e con un leader supremo, ovviamente Prodi. A questo punto e con questi risultati, si ragiona, i partiti (Ds e Margherita in testa) hanno molte più difficoltà a dire no a Prodi, e lui ha «molti più margini di manovra», come rivendica serafico. E se i partiti non ci stanno, la contromossa è già pronta: una lista Prodi che, spiega il ds Caldarola, «cannibalizzerebbe i nostri elettorati, facendo fuori i ds dalla gara per diventare il primo partito italiano e penalizzerebbe gravemente la Margherita».
Il listone ulivista va bene ai Verdi, «lo dico da settimane che va a finire così», spiega Paolo Cento. E va bene a Di Pietro e alle altre formazioni minori. Il «no» di Bertinotti è scontato: «È escluso» che Rifondazione partecipi, dice subito dopo aver abbracciato Prodi in piazza. Ma i veri avversari del progetto prodiano sono i partiti che diedero vita alle Europee al listone ulivista e che oggi, tanto più col proporzionale, vogliono correre da soli alle politiche. E così il primo a frenare gli entusiasmi del Professore è Massimo D’Alema: «Tutto questo è stato organizzato dai partiti», ha tenuto a sottolineare, tanto per mettere in chiaro che Prodi non può certo incoronarsi vincitore da solo. Quanto al ritorno all’Ulivo evocato dal Professore, «Prodi ha espresso il suo pensiero, poi quello che succederà sarà frutto di una decisione collettiva». E comunque «evitiamo di alimentare dispute tra noi». Ancor più netto è Enrico Boselli: «Noi una decisione l’abbiamo già presa: presentiamo la lista insieme ai Radicali». Quanto a Rutelli, il leader della Margherita taglia corto: «Se ne parla da domani». Oggi i leader del centrosinistra si riuniscono in conclave, ma non sarà in quella sede che il rebus verrà sciolto: si tenterà di prender tempo, di lasciar decantare l’entusiasmo per le primarie e si cercherà di ricondurre il Professore a più miti consigli.

Dalla Margherita insistono a riproporre il listone «solo al Senato», ma Prodi ha già detto che non se ne parla. I ds giurano che a loro l’Ulivo va benissimo, ma contano su Rutelli e Boselli perché dicano di no. Ma come finirà la partita, ad oggi nessuno lo sa prevedere.

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