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Il Prof bacchettato dalla preside va a caccia della promozione

SuperMario corre dalla Merkel per rassicurarla: "Ho spiegato le misure che prenderemo". Ma alla fine è una sviolinata alla linea della Cancelliera

Il Prof bacchettato dalla preside va a caccia della promozione

Dal nostro inviato a Berlino

Quassù in Germania, al cospetto di frau Merkel, il Professor Monti sembra più uno scolaro diligente che un docente. Se il premier è il Professore, la Cancelliera è la preside. Di ferro. Arrivato a Berlino, il premier sembra soffrire una sorta di sudditanza nei confronti dell’interlocutrice. Lo si capisce man mano che si srotola la conferenza stampa dopo più di un’ora di faccia a faccia; lo si legge in un’intervista rilasciata al quotidiano liberalconservatore Die Welt. In entrambe le occasioni Monti si sforza di apparire più tedesco che mai. «Ho sempre lavorato perché l’Italia sia simile alla Germania nella misura del possibile», si legge su Die Welt. E frau Merkel conferma: «Monti mi ha detto che si sente tedesco anche se gli ho ribattuto che noi non siamo tutti uguali».

Ha sudato e suda sette camicie, il premier, per far cambiare la percezione che hanno di noi i teutonici. Adesso siamo diventati affidabili e seri. Non siamo più soltanto pizza e spaghetti ma anche un po’ crauti e wurstel. Questa la missione di Monti che, al termine del summit, concede interviste alle emittenti televisive Zdf e Ard per sottolineare che i compiti a casa li stiamo facendo per davvero. Una nuova strategia comunicativa visto che l’altro giorno, a Parigi, Sarkozy non ha creduto che avessimo già portato a casa la riforma delle pensioni. Cosa che Monti non ha digerito. E anche al cospetto di frau Merkel è stato tutto un rassicurarla che stiamo facendo il nostro dovere. Lo dice Monti: «Ho esposto le misure che l’Italia ha preso e prenderà in materia di liberalizzazioni e concorrenza». Lo ammette la Merkel: «Il suo governo in pochi giorni ha fatto cose molto rilevanti e molto veloci».

Il Professore, che oggi riferirà alla Camera e il 25 in Senato, va a caccia della promozione. Sa che musica vuol udire la preside: «La Germania offre la prova di come la disciplina di bilancio pubblico migliori le ricette per la crescita». E ancora: «L’Europa non deve temere l’Italia come fonte di contagio». E pure quando parla di sviluppo, Monti ci infila l’ingrediente più gradito al palato tedesco: «Non vogliamo una crescita effimera che poi dà, come in passato, disavanzi, inflazioni e patologie varie». Merkel in brodo di giuggiole. Della serie: questo sì che è un professor-alunno modello. E in futuro altri compiti saranno fatti a regola d’arte: «Ho illustrato cosa faremo in materia di mercato del lavoro e ammortizzatori sociali». Tiene poi a precisare che «In Italia c’è qualcosa di simile alla vostra Grosse Koalition».

Sì, insomma, siamo quasi tutti più berlinesi. In cambio Monti, che chiede «azioni per ridurre i tassi di interesse», ottiene pochino dalla Merkel. La cancelliera riconosce che la locomotiva tedesca rallenta e i vagoni più lenti addirittura frenano. Cita più volte la parola «crescita» ma la abbina sempre al «rigore». Ammette che occorrono misure per «favorire la crescita e l’occupazione» ma non spiega quali. Di certo durante il summit non vengono neppure citati gli eurobond, da molti considerati panacea dello scarso sviluppo dell’eurozona. Per la Merkel sentir parlare di debito condiviso resta un rumore sgradevole; per cui si soprassiede. Almeno fino ad ora. La cancelliera apre invece alla possibilità di rendere più efficace il nuovo meccanismo di stabilità (Mef), strumento che concede prestiti agli Stati in difficoltà. Finora ha una dotazione di 500 miliardi e un’attivazione piuttosto bizantina. Da domani, invece, «la Banca centrale europea potrebbe intervenire per rendere operativo al più presto il fondo salva Stati». Un rafforzamento del cosiddetto firewall: scudo per difendersi dalle speculazioni sui debiti sovrani. Ma siamo ben lontani dall’ipotesi di far diventare la Bce «prestatore di ultima istanza», soluzione su cui la Germania s’è sempre opposta. Il cosiddetto «bazooka» non vedrà la luce: ci si accontenta della cerbottana.

Restano in piedi, poi, le profonde divisioni sulla Tobin Tax: la Francia la vorrebbe subito, anche da sola; la Germania la approverebbe ma soltanto se sono d’accordo tutti e 27 gli Stati della Ue; la Gran Bretagna non ne vuol neppure sentir parlare e Monti chiosa: «Io, ex allievo di Tobin, ricordo che diceva che la tassa era come il mostro di Lochness: appare e scompare. Ma in questa fase potrebbe essere utile». Ma la misura ha il sapore di boutade elettorale: compiacere gli elettori francesi e tedeschi che vogliono far pagare alla finanza i danni che la speculazione sta provocando a tutti. Intanto si continua a lavorare al nuovo patto fiscale Ue: dall’ultima bozza viene confermato che il deficit sarebbe consentito in fase di ciclo economico negativo e che le regole scatterebbero a partire dal 2014. Ma le bozze continuano a essere limate ora dopo ora.

E lo spread non cala.

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