Prof in rivolta con 18 anni di ritardo

Già nel ’90 Ratzinger tenne proprio alla Sapienza il discorso su fede e ragione che ha irritato i docenti

da Roma

A pensarci bene, sembra quasi uno scherzo. Meglio, una beffa del destino che ha per protagonisti uomini di scienza incapaci di leggere un testo e di trovare l’originale di un discorso. Sì, perché l’ormai famosa conferenza che l’allora cardinale Joseph Ratzinger tenne nel 1990, dopo la caduta del Muro di Berlino, quella con il paragrafo dedicato a Galileo e alla citazione incriminata, che il porporato bavarese non faceva propria prendendone chiaramente le distanze, prima che a Parma (15 marzo di quell’anno), era stata pronunciata - udite udite! - proprio alla Sapienza di Roma, in data 15 febbraio. Proprio nell’ateneo fondato da Papa Bonifacio VII e oggi frequentato da cattedratici, professori associati e ricercatori che non sanno ricercare l’originale di un discorso né comprenderne il testo, ma si fidano, in una lettera ufficiale spedita al loro rettore e poi finita in pagina su Repubblica, di qualche spezzone incontrollato beccato su Internet.
La notizia sul fatto che proprio alla Sapienza era stato tenuto il discorso, la si ricava da una nota dell’edizione tedesca del libro di Ratzinger (Wendezeit fuer Europa? Diagnosen und Prognosen zur Lage von Kirche und Welt, Johannes Verlag, Einsiedeln/Freiburg 1991): «La prima versione di questo testo risale a una conferenza tenuta a Rieti il 16 dicembre 1989 ancora sotto la fresca impressione degli avvenimenti in Europa dell’Est come tentativo di una prima riflessione di quegli avvenimenti; la versione qui presentata servì come conferenza all’università romana della Sapienza il 15 febbraio 1990. La stessa versione, modificata per la ricorrenza, è stata utilizzata in occasione delle celebrazioni per i 1400 anni del III Concilio di Toledo a Madrid il 24 febbraio 1990».
A pagina 71 del libro c’è la citazione del filosofo (agnostico e libertario) Feyerabend: «La Chiesa dell’epoca di Galileo si attenne alla ragione più che lo stesso Galileo». Dopo averla fatta, il futuro Papa ha precisato: «Sarebbe assurdo costruire sulla base di queste affermazioni una frettolosa apologetica. La fede non cresce a partire dal risentimento e dal rifiuto della razionalità, ma dalla sua fondamentale affermazione e dalla sua inscrizione in una ragionevolezza più grande... Qui ho voluto ricordare un caso sintomatico che evidenzia fino a che punto il dubbio della modernità su se stessa abbia attinto oggi la scienza e la tecnica». Quel discorso, peraltro, rappresentava una critica alla religiosità irrazionale, alla religiosità che diventa «una droga» e conteneva un significativo elogio della ragione.
Del resto, come ha segnalato ieri il sito Korazym.

org, nell’aprile 2006, dialogando con i giovani della Giornata mondiale della gioventù in piazza San Pietro, Benedetto XVI iniziò la risposta alla domanda di un ragazzo sul rapporto tra fede e ragione con queste parole: «Il grande Galileo ha detto che Dio ha scritto la natura in formule matematiche...». Questo è il Papa al quale la Sapienza ha sbattuto la porta in faccia.

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