Il prof di tasse e austerità ora ci regala le perle anti crisi

L'ex premier che si ritiene un Padreterno non ha perso il vizio di dare lezioni e bacchettare tutti

Il prof di tasse e austerità ora ci regala le perle anti crisi

Un nuovo grillo parlante ha alzato la testa nel Paese con 60 milioni di commissari tecnici. Tra gli insetti loquaci, questa è una specie particolare: quella di chi sapeva tutto ma non ha fatto niente. Ora Mario Monti predica bene ma ha razzolato malissimo. Ha imposto un'austerità targata Merkel, ha taglieggiato i proprietari di case, ha creato dal nulla - lui che si ritiene un Padreterno - la categoria degli esodati, ha curato più gli interessi di Bruxelles e Berlino che quelli di Roma. L'ex rettore della Bocconi e i suoi tecnici, intesi come ministri e non esperti di calcio, hanno fatto aumentare disoccupazione e cassa integrazione, svalutato gli immobili e aumentato i prezzi, alzato i prelievi e abbassato il Pil.Adesso però Monti viene a spiegare come si governa bene. Assomiglia a un altro ex presidente del Consiglio defenestrato e offeso, Romano Prodi. Entrambi docenti universitari di centrosinistra che si credevano i salvatori della patria e puntavano a diventare leader politici se non addirittura a insediarsi al Quirinale, mentre si sono trovati in panchina, esodati di lusso, un po' per le lotte politiche che li hanno travolti ma soprattutto per la loro supponenza.Quella di Monti è una metamorfosi inattesa, simboleggiata da una foto che lo ritrae seduto sulle scale di un ospedale milanese, indaffarato tra scartoffie varie, mentre attende che la moglie finisca un controllo. Un bagno di normalità per cancellare il sussiego accademico e rimettersi in sintonia con la gente che non l'ha mai amato. Alle elezioni del 2013, quando credeva di mietere dove non aveva seminato, il Bocconiano aveva subito un clamoroso flop. E nei mesi successivi il suo partitucolo, Scelta civica, gli si era rivoltato contro. Da allora l'ex premier si è rinchiuso nello scranno di senatore a vita avuto per gentile concessione del presidente Giorgio Napolitano, con rare uscite ufficiali e ancor meno interviste. Un Aventino dorato, visto che nel 2015 il suo reddito è balzato dai 288.896 euro del 2014 a 775.552: un aumento record di oltre una volta e mezzo. A lui la stagione di Matteo Renzi premier non ha portato male.Un mese fa appare dal nulla una lunga intervista alla Stampa in cui Monti attacca il capo del governo. È un'offensiva pesante: Renzi parla dell'Europa «con leggerezza», dice «frasi da bar sport», usa un'«aggressività verbale controproducente» e soprattutto dimentica che le norme sul bail in bancario «esistono dall'agosto 2013» e nessuno, lui compreso, ha fatto nulla per opporsi. Dieci giorni dopo Monti torna all'assalto su Repubblica prendendosela con «i politici che inseguono il consenso a ogni sondaggio», che «quando vanno al Consiglio d'Europa cercano di staccare un mattone dalla casa semicostruita, triturarlo e portare la polvere all'opinione pubblica nazionale».Lo scontro diventa frontale quando Monti prende la parola in Senato e, dall'alto dei suoi fallimenti di governo, tira platealmente le orecchie a Pierino-Matteo che non rispetta le regole comunitarie mentre ignora problemi strutturali italiani come l'evasione fiscale. Monti addirittura si augura che l'Europa non ci conceda «tutti i margini di flessibilità richiesti». Un paio di giorni dopo l'ex premier rincara la dose con una doppia lenzuolata, sul Foglio (renziano) e sul Corriere della Sera (sempre più antirenziano).L'istantanea in coda dal medico della mutua non ha avuto successo. Monti non è un italiano medio o un politico che rifiuta i privilegi della casta, ma è rimasto lo stesso, un professore perennemente in cattedra a spiegare agli ignoranti come gira il mondo con l'atteggiamento di chi sa tutto. I risultati però sono tragicomici. Il senatore a vita rimarca che «l'Europa ha avuto il merito di indurci a essere più responsabili e rispettosi verso le generazioni future»: infatti lui, quand'era premier, non ha fatto che tartassare le generazioni presenti.Monti aggiunge che è stato «un grave errore, dettato probabilmente anche qui dalla ricerca del consenso, lasciar morire la politica del taglio alla spesa pubblica». E lui? Non è che il suo governo abbia fatto faville con la spending review del commissario Enrico Bondi, tutt'altro. La cancellazione delle province è ancora un mistero doloroso. Provvedimenti come la dismissione delle società partecipate o il blocco degli stipendi dei magistrati sono stati bocciati dalla Consulta o dalla Corte dei conti. E chi si ricorda che Monti aveva nominato Giuliano Amato commissario per tagliare i finanziamenti a partiti e sindacati? Non c'è memoria né di Amato né di sforbiciate.Ma il colmo (o il fondo, a seconda dei punti di vista) viene toccato quando Monti si azzarda a parlare di tasse. Lui che ha inventato l'Imu, appesantito i bolli sui conti correnti bancari e i dossier titoli, rincarato le accise sui carburanti, maggiorato l'Iva e le bollette, imposto un prelievo sulle pensioni d'oro e innalzato le aliquote contributive per i lavoratori autonomi, rimprovera Renzi per la sua politica tributaria che ha ridotto le imposte sul patrimonio e messo in piedi provvedimenti come i bonus da 80 e 500 euro anziché «stimolare la crescita e l'occupazione agendo con più incisività sul cuneo fiscale». Renzi ha ribattuto colpo su colpo, ha rifiutato le «lezioncine» dal Bocconiano rivendicando che «noi siamo la politica e non la tecnica», che «noi abbiamo fatto il Jobs Act e non gli esodati, l'Expo e non i marò». Qualche taglio in realtà l'ha fatto, per esempio alla sanità, tant'è vero che sempre più gente evita di curarsi perché non ha soldi per pagare ticket e visite mediche.È il quadretto descritto da un antico adagio: il bue che dice cornuto all'asino. Magari il prof ha pure ragione, ma dal suo pulpito non può venire nessuna predica su alleggerimenti di tasse, imposte e tributi. Monti invece insiste a bacchettare Renzi: «Le modifiche del sistema fiscale sono state fatte in modo un po' improvvisato». Questo invece sì, lo può dire, perché l'ex commissario Ue ha agito in modo non estemporaneo ma scientifico nell'opera di dissanguamento.L'ex premier si lamenta per aver dovuto imporre sacrifici pesantissimi che egli chiama «politiche molto rigorose che la sorte e gli sforzi da noi chiesti agli italiani hanno risparmiato ai miei successori», cioè Letta e Renzi. Comunque il professore all'Imu ci è proprio affezionato: «So bene che è un'imposta impopolare - confessa a Libero - ma c'è in quasi tutti i Paesi d'Europa». E dunque guai a toccarla, perché ciò che dice e fa l'Europa è sacro. «Si può provare a toglierla, è vero: ma finché non si riduce la spesa pubblica può essere pericoloso.

Magari se ne toglie una parte, e poi si finisce inevitabilmente per rimetterla». Quindi meglio lasciare le cose come stanno, tassare il bene-rifugio per eccellenza degli italiani e aspettare un governo che taglierà la spesa pubblica. Che si insedierà nel mese del poi nell'anno del mai.

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