Politica

Professione: autoproclamato

Professione: autoproclamato

A un esame comparativo del governo Berlusconi e del governo Prodi si possono trovare simmetrie e coincidenze di non immediata evidenza. Perfino nei radicali contrasti (missione di pace/truppe d’invasione; Ponte di Messina, grande opera pubblica/impresa inutile e dannosa; quote rosa; inappellabilità o appellabilità delle sentenze di proscioglimento) ci sono umoristiche coincidenze. Dunque: c’è del berlusconismo, prima che dello snobismo nella indicazione di tecnici di area da parte di Oliviero Diliberto che non vuole partecipare direttamente alla spartizione delle poltrone. Ecco allora uscire dal cilindro i nomi di Asor Rosa, Bianchi, Scotti, Minà dai quali esce il perfetto intellettuale anti-Lunardi, uomo di pensiero e non d’azione, Alessandro Bianchi: niente grandi opere, niente soprattutto Ponte di Messina, opera del diavolo. Non è tanto il merito che si discute, quanto il tono profetico, l’anatema. Berlusconi aveva un amico, ne considerava grandemente l’energia dell’uomo d’azione; Diliberto ha un amico all’Università della Calabria: ne considera grandemente l’impegno intellettuale. Ma se si esclude il disinteresse per il potere diretto dei Comunisti italiani, la ripartizione dei ministeri appare spietatamente legata al potere dei partiti. Una volta fissate implacabilmente le cariche istituzionali, Prodi ha visto restringersi i suoi spazi d’azione fino ad annullarsi. Non ha indicato i ministri a seconda di competenze e meriti, ma li ha registrati sotto dettatura, senza interlocuzione. E se Berlusconi aveva coraggiosamente indicato agli Esteri Renato Ruggiero, sbarrando la strada al suo alleato più pesante, Gianfranco Fini, che per arrivare a quella carica ha dovuto pazientare più di tre anni, Prodi ha dovuto accettare il presidente del primo azionista della sua maggioranza, il Partito dei democratici della sinistra, Massimo D’Alema. Berlusconi aveva negoziato con Bossi (quasi un capriccio) il ministro della Giustizia nell’originale figura dell’ingegner Castelli; Prodi è costretto ad accettare in quota «Lega Sud» (ancora un capriccio) Clemente Mastella, la figura più lontana dalle aspettative dei giustizialisti. Nella delicata missione di ministro dei Beni culturali non c’è partita: il posto viene attribuito per autoproclamazione. Se D’Alema, Ds, sceglie per sé gli Esteri, Rutelli, Dl, sceglie per sé i Beni culturali. È evidente che in Rutelli agisce la suggestione di Veltroni, come lui vicepremier così abile e furbo da capire che, nonostante il peso apparente, nessun ministero è più redditizio, in consenso personale e in voti, del ministero dei Beni culturali se inteso come ministero della propaganda, altro che ministero degli Interni. Veltroni e Rutelli hanno ben studiato il modello di Jack Lang. Naturalmente Prodi non può obiettare, non può reagire; ed è costretto ad accettare per la tutela del patrimonio il responsabile dell’opera più brutta mai fata a Roma, l’Ara Pacis. Un bel paradosso, da lasciare interdetti. Ma c’è da sperare che Rutelli ministro si redima, come anch’io confido. All’Istruzione il contraltare naturale della Moratti doveva essere Rosy Bindi. Ma (potere delle tessere) tocca a Fioroni. Immaginiamo adesso un governo ideale, così come avrebbero desiderato gli uomini di buona volontà che hanno votato a sinistra. Avrebbero mai pensato Rutelli ai Beni culturali e Mastella alla Giustizia?
Da Prodi ci si aspettava altre soddisfazioni e un altro polso, magari seguendo il metodo Diliberto. E allora è certamente un’occasione perduta non essersi potuti giovare dell’esperienza, della cultura e della conoscenza di un uomo di valore come Alberto Asor Rosa (al suo posto al ministero dell’Università Fabio Mussi); soltanto gli sciocchi possono attribuire alla sua comprensibile posizione contro la politica dello Stato d’Israele, come espressione di un impossibile antisemitismo, il motivo dell’esclusione. E perché non ai Beni culturali l’ammiratissimo Salvatore Settis? E perché non Pisapia alla Giustizia? (Meglio Mastella?) E alla Sanità meglio la Turco di Umberto Veronesi? E perché non all’Ambiente Giulia Maria Crespi? Insomma, un governo che, a parte qualche assestamento, si è determinato per autoproclamazione, senza alcun apprezzabile intervento deciso del premier che ha patito tutto. Bene o male Berlusconi aveva estratto dal cilindro la Moratti, Sirchia, Stanca, Lunardi, Ruggiero. Aveva tentato di conciliare le ragioni della politica con indirizzi di governo sia pur limitati. Prodi delude in quanto elude la sua carica. In una brutta trasmissione di Telelombardia, televisione di proprietà di Sandro Parenzo, assessore alla Cultura del Comune di Venezia, di centrosinistra, un tragico momento rivelatore è stato il sondaggio telefonico sul gradimento del governo Prodi. Hanno telefonato 1.200 persone spendendo un euro e 20 ciascuna. Le possibilità erano quattro. Il governo Prodi vi piace: molto: 13%; abbastanza: 1%; poco: 1%; per nulla: 85%. Non ci volevo credere. L’ho fatto ripetere cinque volte. Ho evocato una indebita pressione di Berlusconi davanti all’esterrefatto giovane conduttore David Parenzo.

Alla fine mi sono convinto e, nonostante la stima per molti dei nuovi ministri, professionisti della politica, persone perbene, ho cercato le ragioni che ho spiegato in quest’articolo. Lo sperato governo Prodi non è mai nato, è nato un governo dei partiti. E i cittadini hanno visto, con raccapriccio, lo spettacolo.

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