Altatto, la nuova vita del vegetale più profondo di Milano

Ha cambiato da un paio di settimane sede il bistrot/ristorante di Cinzia De Lauri e Sara Nicolosi: da Greco il locale si è spostato alla Barona. L’idea della cucina resta la stessa, un vegetariano ortodosso ma con grande eleganza e sapore, ma gli spazi sono più ampi ed eleganti. E gli aficionados dell’insegna fanno volentieri qualche chilometro in più

Cinzia De Lauri e Sara Nicolosi
Cinzia De Lauri e Sara Nicolosi

Cinzia De Lauri e Sara Nicolosi sono due ragazze da tenere d’occhio. Una decina di anni fa hanno aperto in zona Greco, periferia nord di Milano, un forno controcorrente, poi diventato laboratorio di catering e infine bistrot/ristorante che presto ha attirato le attenzioni della critica e dei buongustai milanesi lontani dai gusti mainstream. Ora Altatto, così si chiama l’insegna, si è spostata nella periferia sud della città, a Barona, al 39 di via Bonaventura Zumbini, ed è una buona notizia per tutti. Perché la cucina vegetariana con gusto del duo è rimasta la stessa, affascinante e complessa, profonda e soddisfacente ma sono certo che il nuovo spazio, più adeguato alle ambizioni e anche alla clientela numerosa, darà ulteriore consapevolezza e slancio a Cinzia, Sara e alla loro squadra veramente orizzontale, che crede nel progetto come le capofila, e questo si vede chiaramente quando si mangia da loro.

Altatto, il servizio del Fungo

Di Altatto mi piace la sommessa eleganza della proposta, che si nutre dell’esperienza che le due chef hanno maturato da Joia, il ristorante vegetariano stellato che fu di Pietro Leemann e che ha fatto la storia della cucina vegetale colta milanese e italiana. Mi piace questo ma mi piace anche l’educazione, il senso della misura delle due giovani e dei loro collaboratori. Malgrado da Altatto tutto sia improntato alla filiera etica da un punto di vista ambientale, sociale e umano, non si ha mai l’impressione di subire una lezioncina moralisteggiante, come a volte capita in luoghi con questa impronta. I piatti sono creativi, volti a dare la massima espressione ai vari ingredienti e la ricerca del sapore – talora un po’ sacrificata in nome dei valori – qui è invece condotta incessantemente, con grande gioia degli ospiti.

Altatto, il Pomodoro
Altatto, il Pomodoro

Due i menu: uno più stringato composto da quattro portate a 60 euro con la possibilità di abbinamenti “liquidi” a 35 o 28 euro (il primo alcolico e il secondo no), uno più discorsivo di nove portate a 95 euro, con pairing a 50 o 35 euro. Ma chi non vuole essere ristretto nel recinto di una proposta prestampata può tranquillamente attingere alla carta.

Altatto, il locale
Altatto, il locale

Io ho provato il menu più ampio, che viene “battezzato” con un semplice pane ai semi prodotto dal micropanificio Tondo del quartiere Isola, accompagnato da un burro montato al sale. Il primo piatto del menu è Pomodoro, e non c’è bisogno di spiegare quale sia l’ingrediente protagonista. Vale dire, però, che esso viene presentato in conserva e marinato con un leche de tigre vegetale e immerso in un succo di agrumi, con polvere di buccia di pomodoro bruciato, alga nori e cipolla in agrodolce. In un bicchierino accanto viene servito un bloody mary analcolico. Poi ecco il Fru Fru, una sorta di wafer con rosmarino essiccato e patata dolce con tahina di semi di girasole tostati, tarassaco e formaggio.

Proseguo con l’Oöf è un uovo (di selva) in stile valtellinese, cotto al vapore e proposto con caviale di aceto di mele e una sorta di crèpe aromatizzata con la pesteda, un mix di erbe valtellinesi. Poi arriva lo Shiso, una grande foglia del basilico giapponese che però viene raccolta nel vicino orto dove Cinzia e Sara si servono: fritta delicatamente in tempura e scortata da un pesto di alloro e scalogno e da una maionese al miso; accanto un succo di prugna la cui acidità combatte la grassezza 8comunque assai limitata) della frittura.

Poi arrivano i piatti più interessanti della serata: Fungo è un cardoncello glassato servito in uno spiedo che gioca nei gesti e nelle sensazioni con il servizio tradizionale dell’anatra alla pechinese, ciò che prevede che l’ospite componga da solo una sorta di involtino con la crespella con erbe e salse. Entusiasmante l’omaggio a Gualtiero Marchesi, di cui Cinzia e Sara sono “nipotine”, con lo Spaghetto Monograno Felicetti tiepido con burro acido al prezzemolo e caviale al carbone, un esplicito. Ottimo anche quello che in realtà potrebbe sembrare il piatto più conformista della serie, il risotto Milano con Carnaroli Riserva San Massimo con zafferano e fondo bruno di sedano rapa. E i dolci? Buoni anche se un filo più ordinari, ma al Gelato al latte di capra con fieno bruciato e fichi ho preferito Bosco, un gioco di temperature e gusti con licheni e corniolo.

La carta dei vini punta su etichette naturali (parola che io non amo. Vogliamo dire alternativi? Resistenti? Fate voi). Il locale, minimale, caldo e organico, è stato elegantemente disegnato da Nicola Lorini. Due sale, la prima ha la cucina a vista che però, vista l’assenza di un bancone, non porta a un vero e proprio dialogo.

Servizio efficiente e leggero, la clientela è fatta per lo più di aficionados e questo crea una bella atmosfera, molto familiare.

Altatto, via Bonaventura Zumbini 39, Milano. Tel. 3286641670. Chiuso il sabato e la domenica, gli altri giorni aperto solo la sera. Le prenotazioni aprono il 10 di ogni mese per il mese successivo


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