Per Mr. Stevens, l'imperturbabile maggiordomo a servizio da Lord Darlington, interpretato da Anthony Hopkins nel film di James Ivory Quel che resta del giorno, le qualità indispensabili a un Maestro di Palazzo sono la «dignità, il contegno e la riservatezza». Per Ivor Spencer, il butler più famoso del Regno Unito, Gran Ciambellano di Corte, nominato Member of the British Empire dal principe Carlo, «un vero maggiordomo si distingue per la sua lealtà e per quanto si sente onorato nel prestare servizio». Un tempo venivano chiamati bouteilliers, in francese antico coloro che avevano l'incarico di portare le bottiglie, dal latino medioevale butticula, diminutivo di buttis, i grandi recipienti di legno allora per vino e birra tenuti al riparo nel buttery, il luogo dove si vendevano cibi e bevande. Dopo la scomparsa dei servi dei gentiluomini e con i mutamenti dell'organizzazione sociale, i primi butler divennero responsabili di queste zone della casa, con l'onere di controllare anche la dispensa e le stanze dove venivano lavate le stoviglie e i preziosi tovagliati. In seguito arrivarono le prime mansioni come cantinieri, autorizzati anche a mescere il vino a tavola e dalla metà del XIX secolo iniziarono a tirare le fila della gerarchia dei loro sottoposti. Eserciti di camerieri, valletti, cuochi, governanti, impegnati nella gestione di dimore perlopiù di famiglie aristocratiche. «Il maggiordomo è la colonna portante di una residenza e ha in mano la gestione di tutto. Il suo ruolo nel corso degli anni è cambiato. Prima si preoccupava di lucidare l'argenteria, seguire i nugoli di camerieri e stirare i giornali per asciugare la stampa ed evitare che il padrone si sporcasse le mani con l'inchiostro» racconta Ivor Spencer. «Oggi è diventato un manager con stipendio eccellente, responsabile dell'andamento di tre o quattro dimore sparse per il mondo, delle buste paga del personale e degli equipaggi di jet, elicotteri e yacht. Tiene i contatti con le agenzie di viaggio, organizza party e si occupa personalmente del guardaroba del datore di lavoro, di accendergli un sigaro o di versargli lo champagne».
Una filosofia di vita basata sulla fedeltà assoluta che fino ai primi decenni del Novecento registrava più di trentamila maggiordomi in tutto il mondo, a differenza degli anni Settanta quando ne erano rimasti soltanto un'ottantina. Oggi, dopo la nascita di prestigiose Scuole di formazione come quella di Ivor Spencer a Londra, soprattutto all'estero sono tornati numerosi a regnare con pieni poteri nelle residenze più prestigiose. Qualcuno ha tradito in modo squallido i sacri principi di questa professione, come Paul Burrell, l'ex maggiordomo della principessa Diana d'Inghilterra, ma Ivor Spencer, scandalizzato, non ne vuole nemmeno sentir parlare. «I miei allievi alla fine dei corsi sono obbligati a firmare un documento di impegno sulla riservatezza che dovranno rispettare nelle case dove lavoreranno. I tabloid domenicali e i giornali tedeschi mi corteggiano per farmi rivelare aneddoti segreti e offrendomi cifre da capogiro ma non cederò mai a questi ricatti. Ho sempre ammirato molto Mr. William, uno dei più famosi maggiordomi d'Inghilterra, per cinquant'anni a servizio a Clarence House all'ombra della Regina Madre. Un vero butler», prosegue Mr. Spencer, «deve essere sempre presente con delicatezza senza mai rivolgersi per primo al suo padrone o esprimere opinioni non richieste».
Tutte qualità assimilate dai tanti maggiordomi protagonisti di cinema e letteratura: da Alfred Pennyworth, fedele servitore di Bruce Wayne, identità segreta di Batman, all'indimenticabile Jeeves creato da Wodehouse, dalla magia delle atmosfere di Gosford Park di Robert Altman alla regalità del butler di Casa De Winter, nella tenuta di Manderley, in Rebecca la prima moglie. Esempi di dedizione e poesia d'altri tempi tanto cari all'impareggiabile Nando Tavella, il maggiordomo più famoso d'Italia, terra di grandi tradizioni legate alla sofisticata arte del ricevere. Volgendo lo sguardo verso l'eleganza della Milano anni Cinquanta-Sessanta, con i ricevimenti delle signore e delle nobildonne Invernizzi, Sciapira, Crespi e Castelbarco, si può seguire l'ascesa dell'impeccabile Nando che iniziò la sua carriera come sottomaggiordomo a casa del banchiere Antonio Sozzani nel palazzo di via del Gesù. «Avevo sedici anni. Sopra di me c'era soltanto Giuseppe, il maggiordomo, come servitù altre cinque persone: due cameriere, la cuoca, il ragazzino che puliva le verdure, l'autista. Il barone era esigentissimo e se scopriva che il colletto di una camicia stirata aveva una leggera piega, le tirava tutte fuori dai cassetti e le buttava per terra. Una follia pensando ai giorni nostri! Erano altri tempi! La mattina servivo la prima colazione in camera su un vassoio d'argento e sempre su preziosi cabaret consegnavo la posta. Preparavamo le valige del barone con la carta velina stirata che separava ogni indumento. Prendevo continuamente appunti per non sbagliare! A volte dall'agitazione non dormivo la notte! Pensare che allora la signora Invernizzi per i suoi ricevimenti mandava a prendere la frutta in Africa con il jet privato!».
Le cucine dei palazzi più prestigiosi avevano i cuochi fissi e le eccellenti padrone di casa si davano una mano scambiandosi i camerieri per organizzare gli eventi più esclusivi. Era l'epoca dei grandi maggiordomi, pochissimi e rigorosamente in tight già per servire la prima colazione. «Il mio mito? Il severissimo Leone, alle dipendenze della creatrice di moda Biki. Un giorno mi fece chiamare per dirmi che ero pronto per diventare maggiordomo e dovevo presentarmi in via Buonarroti 40 da una cantante lirica per prendere le redini assolute della casa. Mi trovai di fronte Maria Callas. Una grande emozione! Era molto innamorata del marito, Meneghini, e lui la adorava, la trattava come una bambina. Insieme a tutto il personale, fino alle quattro del mattino, dovevo aspettare che tornasse dalle prove della Traviata per servirle una tisana. Il giorno dopo alle sette suonava di nuovo la sveglia. Lei adorava i fiori profumati e sul comodino voleva gelsomini e camelie. Dovevamo essere sempre perfetti, ci cambiavamo la giacca due volte al giorno ed esigeva che sostituissimo i guanti bianchi in continuazione. La mattina mentre faceva colazione mi rivolgeva appena la parola e mi invitava a seguire le sue prove. Rammento che faceva impazzire la cameriera quando metteva le lenti a contatto, ci vedeva pochissimo. I suoi ammiratori le mandavano scatole di cioccolatini e il primo voleva che lo assaggiassi sempre io».
Ricordi importanti della carriera di Nando Tavella che scava nella memoria per mettere a fuoco i momenti e gli eventi che gli stanno più a cuore. «Non dimenticherò mai i periodi a Londra a servizio del barone Parisi, figlio della contessa Brandolini d'Adda, quando fino a mezzanotte lo aiutavo a scegliere abiti, cappelli e cravatte per raggiungere i party con la Rolls che gli prestava Marlene Dietrich. Il ricevimento più memorabile? Quello in onore di Ingrid Bergman, offerto nella residenza della contessa Castelbarco dopo la prima della Giovanna d'Arco alla Scala di Milano. Ricordo tovaglie preziosissime, servizi del Settecento, antichi centrotavola e a fine pranzo le splendide bowl d'argento riempite con acqua tiepida e petali di rose». Allora la figura del maggiordomo fisso in una dimora era indispensabile. Con gli anni, l'aumento dei costi e l'abbassamento del tenore di vita, i butler, da fedeli servitori di un solo padrone, si sono ritrovati liberi professionisti a reinventarsi un nuovo ruolo di Maestri di Cerimonia, chiamati di volta in volta ad officiare gli eventi più fastosi. Sempre impeccabili in tight o con gli abiti dei casati nobiliari con rifiniture dorate e bottoni impreziositi dagli stemmi di famiglia. Maestri di Palazzo del Terzo millennio sempre attenti alle vecchie tradizioni. «Quando gli ospiti si siedono al desco deve essere già stata versata poca acqua nei bicchieri. Mai le bottiglie sulla tavola, i camerieri prima di iniziare a servire devono sostituire i piatti con quelli appena scaldati e quando si offre il vassoio di portata agli ospiti bisogna sempre porgere le posate. Un errore gravissimo? Portare un piatto con la porzione già servita». Oggi i tempi sono cambiati, i catering hanno preso il sopravvento e la professionalità dei camerieri, come racconta Nando Tavella, «scarseggia» ma i ricevimenti che non fanno rimpiangere il passato sono ancora tanti.
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