Il "Professor" Fignon ha perso l’ultima corsa

Da un anno e mezzo lottava contro la malattia. Lo sport perde uno dei personaggi più intelligenti e anticonformisti della sua storia. I successi negli anni ’80, poi l’addio al ciclismo nel 1993 per diventare opinionista in tv alla Grande Boucle. Aveva appena 50 anni

Il "Professor" Fignon  
ha perso l’ultima corsa

Non si può dire che la pessima notizia arrivi inattesa. Per quanto l’abbia contrastato valorosamente, Laurent Fignon aveva di fronte l’avversario imbattibile. Cancro alle vie digestive. Dopo cinquant’anni di vita degna e bella, dopo un anno e mezzo di lotta, la resa. Addio Professore. Lo sport, prima ancora del ciclismo, perde uno dei personaggi più intelligenti, anticonformisti, originali della sua storia. Questo, così, era Fignon.

Nell’evoluzione darwiniana del ciclista, si può dire che Fignon rappresenti meglio di tutti il primo stadio dell’età moderna. Prima, lo stereotipo del faticatore ottuso, poveretto e poveraccio, con il leggendario «ciao mama, sono arrivato uno» a completare l’umanoide. Con Fignon, arrivano in gruppo gli occhialini tondi, come da soprannome «Professore», nonché il codino legato dietro - prima, molto prima dei cerchietti sulla capoccia del bomber bella gioia -, ma soprattutto il lessico compiuto e le idee per niente banali. Ai tempi, è il genere di ragazzo che ci si aspetta di ritrovare al raduno musical-oppiaceo di Woodstock, non al raduno del Tour de France. Ma con Fignon, un parigino prestato al fango e alla polvere, il ciclismo si libera definitivamente della sua fama agro-silvo-pastorale e acquisisce dignità intellettuale. Qualcuno lo definisce snob, ma lo è solo per via naturale, come tocca biologicamente a tutti i parigini.

Sono gli anni Ottanta, quando ancora la Francia è qualcosa e qualcuno nel ciclismo, quando ancora il doping è pratica comune, senza essere pratica stragista. Questo strano atleta in guanti bianchi, improvvisamente, diventa l’erede degli Anquetil e degli Hinault. Di quest’ultimo è inizialmente gregario e allievo. Poi vince due Tour di seguito, nell’83 e nell’84. Vince pure altre corse importanti, avvicinandosi ai trent’anni: spiccano due Sanremo (’88, ’89) e un Giro (sempre nell’89). Ma come succede di frequente nei racconti tramandati dello sport, non è per questi trionfi che tanta gente lo ricorda. Molti conservano nella memoria gli «otto secondi di Fignon», come massima rappresentazione della beffa suprema, perché proprio a Fignon, nella sua annata forse migliore, l’89 già segnato da Sanremo e Giro, tocca di perdere il Tour nell’ultima crono parigina, sottocasa, per quel miserabile e crudele soffio di 8”, a vantaggio dell’americano Lemond, rivale e opposto.

Non solo. Fignon è anche il cavedano, che tutti gli italiani guardano ancora provando un certo rossore, di un certo gioco strano nell’ultima tappa del Giro ’84: ancora una cronometro, stavolta a Verona. E’ un po’ verità e un po’ leggenda metropolitana: pur di far vincere un Giro a Moser, dopo avergli tolto tutte le montagne dal percorso, l’Italia gli piazza alle spalle anche un elicottero per spingerlo a colpi d’ala nell’ultima cavalcata contro il tempo. Vera o romanzata che sia, a prenderla in saccoccia è sempre Laurent il Professore.

Da parte sua, poeta e filosofo quale è, si arrabbia solo il giusto. Ma non esce di senno, non si iscrive al libro d’oro dei martiri. Fiero delle sue vittorie, pago della sua carriera, lascia il ciclismo nel ’93, evitando la fase acuta del patetismo, per capirci la stessa che affonda gli Armstrong e gli Schumacher. Grazie al suo lessico e alla sua visuale acuta, France 2 lo recluta come opinionista tv al Tour. Nella primavera del 2009, si presenta alla stampa con un’autobiografia dal titolo sottilmente malinconico: «Eravamo giovani e spensierati». In quell’occasione, allega l’annuncio agghiacciante: «Ho il cancro, cercherò di combatterlo. Troverò le forze, da qualche parte».
Le trova, combatte eroicamente, ma non bastano. Lo si rivede all’ultimo Giro tra i vecchi amici, lo si risente a commentare il Tour in luglio. Il 12 agosto festeggia, si fa per dire, i primi cinquant’anni. Ma non ce ne saranno altri. Agosto è il suo mese, il principio e la fine.

Adesso, buttiamo pure l’osso agli affamati di pattume: sì, Fignon racconta nell’autobiografia di avere usato il doping, come tutti, all’epoca. Anfetamine, cortisonici: mentine in confronto a quello che arriverà dopo.

Su richiesta, spiega però che non ci sono prove scientifiche di un legame tra quelle sostanze e il suo cancro.
Se qualcuno vuole trovarlo, si faccia avanti. Cedo volentieri il posto. Per me, la morte non ha bisogno di tante spiegazioni. Ha una sola, fondamentale esigenza: silenzio.

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