«Il Professore non corra da solo altrimenti rischia di bruciarsi»

Il diessino Caldarola avverte Prodi: non sottoponga il suo nome a verifica

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Luca Telese

da Roma

«Un’altra lista nel proporzionale, quella di Prodi, per bilanciare la vittoria di Rutelli nella Margherita? Non condivido affatto il progetto, spero che Prodi non lo metta in pratica. Anche perché... Sarebbe un danno anche per lui». Peppino Caldarola ha le idee molto chiare, e dopo che è stata ventilata l’ipotesi di una lista del candidato premier, spiega perché i Ds avrebbero grosse difficoltà ad accettarla.
Onorevole Caldarola, perché mai Prodi dovrebbe rinunciare a farsi una sua lista?
«Perché, per usare un termine suo, alla competition si aggiungerebbe un’altra competition. Per me l’obiettivo principale resta unire. E poi...».
C’è altro?
«Be’, sì. Questa lista avrebbe sicuramente un risultato inferiore a quello degli altri partiti. Non credo che sarebbe una buona cosa per Prodi».
Addirittura?
«Fossi in lui io non sottoporrei il mio nome a una verifica che lo farebbe risultare comunque minoritario».
Ammesso che sia così, perché questo dovrebbe indebolirlo? Una lista che nasce dal nulla...
«Perché sarebbe comunque uno scontro fratricida. Chi ci guadagna? Avremmo tre liste che insistono sullo stesso bacino».
La disturba che una di queste tre sia la sua, quella dei Ds.
«Non lo nego. Il problema è un altro. Quello che è successo nella Margherita, con la vittoria di Rutelli, è un passaggio politico irreversibile».
In politica di questi tempi, poche cose lo sono davvero.
«Credo che il realismo politico dovrebbe invece portare a una presa d’atto ragionevole: non sono possibili né recriminazioni né capovolgimenti di fronte».
Ci si potrebbe sempre provare.
«Incamminarsi su quella strada sarebbe impossibile, e comunque dannoso».
Quindi a Prodi resta solo da abbozzare?
«Prodi è, e rimane, il leader di tutta l’Unione»
E a chi si apparenta, ai Ds?
«Per lui bisogna trovare e scegliere uno dei collegi più belli e rappresentativi. Non ha bisogno di una sua lista».
Però si potrebbe sempre ripescare il cosiddetto «Ulivetto», la lista comune senza la Margherita.
«L’Ulivetto non esiste!».
Caldarola, lei è spietato.
«Mannò, è così: intanto il simbolo dell’Ulivo non è nella disponibilità di questa lista».
Ma se è proprietà di Prodi!
«Sì, d’accordo: ma non è politicamente plausibile. Anche perché, per fare il cosiddetto Ulivetto, bisognerebbe strappare una minoranza alla Margherita, e confliggere con una minoranza dei Ds, il Correntone. Rischiare due scissioni, francamente mi pare troppo. Si aprirebbe un contenzioso infinito».
Caldarola, lei non sembra affatto turbato, sa?
«Non sono sorpreso, a dire il vero: Rutelli e Marini lo avevano già annunciato da tempo. Bisogna rassegnarsi a mettere da parte gli aspetti organizzativi».
Sul piano politico, se è per questo, c’è il duello di Bologna fra Cofferati e no global.
«Credo che Sergio dovrebbe dialogare di più».
Ma come, un riformista come lei che preferisce i no global al sindaco?
«Senta, io sono la persona più lontana di questo mondo da Luca Casarini, che ritengo politicamente dannoso. Occupare la Fabbrica è stato folle. Sulla legalità non posso che essere d’accordo con il sindaco...».
Però?
«Però mi stupisce che Cofferati passi dal dialogo privilegiato con la sinistra radicale alla totale assenza di dialogo».
C’è chi dice che è l’anteprima di quel che accadrà alle politiche tra Rifondazione e i riformisti. È così?
«Io credo che troveremo la quadra, e vinceremo».
Ottimista! Non l’ha preoccupata il segnale di Catania?
«Mi pare che il trionfo delle liste autonomiste sia un brutto segnale sia per noi che per loro».
Perché mai? La spaventa Raffaele Lombardo?
«Mi spaventano i tentativi di scardinare il modello bipolare. E per quel che ci riguarda sono sempre stato convinto che il collante dell’antiberlusconismo non sia una risposta che si può dare in campagna elettorale».


Però la sconfitta di Catania lo ha dimostrato: anche le vittorie che si danno per scontate, come quella di Bianco, non sono mai certe. Anzi.
«Infatti, io non credo uno vada al governo perché gli tocca. Credo piuttosto che noi siamo attrezzati per superare la crisi. Però non mi sfugge che bisogna convincere gli elettori».

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