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Il Professore si prepara all’incasso

I Ds strappano a Prodi la «pax bancaria» e frenano sulla nuova forza, ma dovranno pagare la cambiale politica

Mario Sechi

da Roma

Sarà un caso, ma quando Romano Prodi parlando del Partito Democratico ha detto che sarà «un’àncora stabile a questo Paese», c’è chi ha pensato subito ai «due uomini in barca», Fassino e D’Alema che di «un’ancora sembrano aver bisogno in questo momento». Perché il barometro nell’Unione continua a segnare burrasca e non sarà facile ritrovare la quiete, nonostante gli sforzi di Prodi.
L’altro ieri il Professore aveva cambiato marcia alla bicicletta inserendo il rapporto più lungo, quello per la volata finale del Partito democratico. Ma sul traguardo, come sempre, qualcosa negli ingranaggi del centrosinistra si è inceppato e ieri Massimo D’Alema ha fatto un’inversione di marcia rispetto a quanto stabilito nel colloquio con il leader della coalizione. «Non credo che si debba accelerare il partito democratico per rispondere agli scandali». La frase ha il suono sinistro della pietra tombale, ma la sterzata del presidente Ds non fa arretrare di un millimetro gli ulivisti. «Il Partito democratico si farà, basta con queste fermate che ci portano indietro» spiegavano ieri i parisiani. Lui, Arturo Parisi, sta alla finestra, ha seguito prima da Sassari e poi da Roma i travagli della Quercia, osserva lo stato maggiore diessino e la tattica dello stop and go che non fa altro che ritardare il varo di un bastimento più solido, in grado di reggere i marosi scatenati dagli scandali finanziari. «Dobbiamo finirla con questa tattica delle fermate. Così ci portano solo indietro» dicono nella Margherita. «Sharon ha fatto un partito in due settimane! E noi da undici anni continuiamo con questa storia degli strappi e delle accelerazioni». È un chiaro riferimento all’Unità di ieri che a pagina 7 titolava in apertura: «I Ds a Prodi: no ad accelerazioni sul Partito democratico». La boa sismografica del giornale Ds aveva lanciato l’allarme e si capiva benissimo che alla prima ondata sarebbe seguito in direzione lo tsunami dalemiano.
Un passaggio apparentemente innocuo, in realtà è la fotografia dell’onda anomala scatenata dal presidente della Quercia: «Per dire la verità nelle critiche contro di noi e quel progetto (Unipol), si sono esercitati non solo i nemici ma anche alcuni dei nostri alleati. E noi intervenimmo per difendere quella posizione e l’intervista di Fassino (la curva sud diciamo) arrivò immediatamente dopo alcune di critica. Ci sono dei leader politici che hanno det-ta-to le obiezioni tecniche che hanno sostenuto la presa di posizione di Banca d’Italia contro l’Opa. Bertinotti poi ha fatto un’altra intervista che aveva nel titolo queste parole: un partito non dovrebbe occuparsi». Nessuno ci ha fatto caso, poi guardando meglio il taccuino degli appunti quella frase ha bisogno di essere decrittata, come si usava ai tempi dei cremlinologi. Se è chiarissimo (e strumentale) l’attacco al subcomandante Fausto, resta l’interrogativo: a quale leader si riferisce D’Alema? Riavvolgendo il film delle liti interne al centrosinistra si arriva fino al 20 dicembre: intervista del Corriere della Sera a Francesco Rutelli. Il leader della Margherita risponde perfettamente all’identikit tratteggiato dallo skipper D’Alema: è un alleato e ha fatto critiche non solo politiche ma «tecniche». Domanda del giornale di via Solferino: «La finanza rossa deve essere forte?». La risposta è di quelle da revisore dei conti con tanto di master negli Stati Uniti: «I miei dubbi sulla scalata Unipol alla Bnl sono di natura operativa, non certo ideologica. In sei mesi nessuno mi ha ancora spiegato se l'Unipol ha raggiunto o meno il livello di capitalizzazione necessario per mangiare il boccone Bnl quasi quattro volte più grande. Se Consorte non ha avuto le autorizzazioni è questo il motivo oppure l'intervento di diabolici avversari?».
Il progetto di chiusura del Botteghino ha subito un rallentamento, ma resta nell’agenda dei centristi dell’opposizione ed è auspicato come una ventata d’aria fresca dai poteri forti. I Ds in questi giorni di passione hanno ritrovato l’appoggio naturale di Repubblica (mentre il Corriere della Sera ha continuato a picchiare duro), ma hanno scolpite nella mente le parole dell’Ingegner Carlo De Benedetti che ha già opzionato la tessera numero uno del Partito democratico. La corazzata di Largo Fochetti ha giocato un ruolo di rimessa, Ezio Mauro ha seguito le orme di Paolo Mieli, Montezemolo e la Confindustria sulla cooperazione hanno ribadito il concetto e la stagione del «collateralismo» e del «postcomunismo» sembra destinata a finire.

La Quercia ha ottenuto per ora la pax bancaria, ma per ottenerla ha firmato un pagherò che prima o poi Romano Prodi andrà ad incassare a nome del Partito democratico. Il rischio, è chi si avveri la profezia del coordinatore Ds Vannino Chiti: «Vogliono spolparci».

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