Profughi, è saltato l’accordo Le Province chiamano Maroni

In Val Camonica i leghisti hanno organizzato una fiaccolata in piazza per dire no all’arrivo di altri profughi. La linea è chiara: la provincia di Brescia e quella di Bergamo non cedono: «Non vogliamo altri immigrati» hanno ribadito ai tavoli, alle riunioni e in ogni occasione utile. Da qui la reazione delle altre province lombarde che ieri, all’incontro in Prefettura, si sono ribellate in blocco: «E allora noi chi siamo? Anche noi non vogliamo altri profughi, non possono opporsi solo Brescia e Bergamo». Per mettere fine alla bagarre è stato chiesto l’intervento del ministro dell’Interno Roberto Maroni. Come a dire che il tavolo territoriale non è riuscito a cavarsela da solo e a gestire direttamente l’emergenza arrivi. La situazione torna in mani romane e sarà ancora il governo a dire cosa fare. Proprio quel governo verso il quale aveva rivendicato il suo ruolo per gestire direttamente la situazione profughi, senza imposizioni.
Bergamo e Brescia si rifiutano di ospitare nuovi africani ma in realtà sono tra le province che hanno fatto meno di tutte la loro parte: Brescia conta solo 244 immigrati sparsi nei vari comuni e Bergamo non supera quota 160. Giusto per fare un paragone, la provincia di Milano conta 641 immigrati (150 in più rispetto al dovuto) e di questi ben 350 sono concentrati nel piccolo comune di Pieve Emanuele. Che da solo ha fatto quasi quanto due province assieme. Invece le province di Monza e di Como, che fino a poco tempo fa erano in debito rispetto alle altre regioni, hanno recuperato ed hanno accolto la giusta quantità di stranieri.
In attesa che Maroni si pronunci, l’assessore alla Protezione civile della provincia di Milano Stefano Bolognini proseguirà la sua campagna di sensibilizzazione delle province e degli enti: «Tutti devono fare la loro parte - insiste - nessuno escluso. Se tutti si danno da fare allo stesso modo, i comuni non dovranno ospitare più di tre o cinque profughi a testa».
Ad oggi in Lombardia sono arrivati quasi duemila immigrati, in gran parte tunisini, e sono stati accolti nelle strutture gestite dai gruppi di volontari, nei residence, nelle case di accoglienza comunali. «Il problema è complicato - aggiunge Bolognini -. Finora infatti è arrivata solo una minima parte di immigrati. D’ora in avanti nessuno può nascondere la testa sotto la sabbia e far finta che il problema non esista. È necessaria la massima collaborazione». L’assessore regionale Romano La Russa ricorda alle province ribelli che ad aprile l’Upl (l’ente che le rappresenta) ha firmato un’intesa in cui si metteva nero su bianco il criterio dell’accoglienza dei profughi, un po’ per uno in proporzione al numero degli abitanti. «La mia richiesta - spiega La Russa - è di non convocare tavoli separati ma di concentrare tutti i presidenti in un unico incontro per arrivare a soluzioni realmente condivise».


Intanto sembrano ritornare in auge (o almeno, qualcuno le ha rispolverate durante le riunioni) l’ipotesi di utilizzare caserme e ospedali dismessi. O di aprire un centro di accoglienza a Lonate Pozzolo, vicino a Malpensa. «Ipotesi folle - frena subito l’assessore regionale - vorrebbe dire creare una tendopoli ingestibile sotto il sole cocente».

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