Progetto liberale senza mediazioni né compromessi

C’è un’attitudine di Silvio Berlusconi che si è sopita con il tempo, ma che nelle sue giornate di miglior forma emerge alla grande. Per alcuni ha rappresentato un freno alle sue capacità di governo e di opposizione. Per molti è invece il sapore del sua leadership. Si tratta della capacità di semplificare i problemi e parlare direttamente agli elettori. A Vicenza, Berlusconi è salito sul palco, ha dimenticato il suo ruolo, e ha cercato il consenso direttamente, in modo sguaiato secondo i canoni tradizionali della nostra politica. Ma con un’efficacia che si è poi tramutata in consenso elettorale. «Berlusconi ha azzeccato le sue grandi scelte - ci confidava pochi giorni fa, Giulio Andreotti, un’icona della politica non berlusconiana -. Ha fatto l’immobiliarista quando il mercato saliva, ha fatto tv e pubblicità al momento giusto, si è inventato Forza Italia quando evidentemente vi era domanda per un movimento di questo tipo. Credo che anche il nuovo partito sarà un successo».
Quando Nicolas Sarkozy combatte, con il guanto di velluto, le piazze del privilegio, crea un rapporto diretto con i suoi elettori. Anche grazie a una forma di governo che in Francia permette alla politica di governare le decisioni, ma soprattutto perché la ricerca della mediazione viene fatta solo preventivamente. E non in un gioco continuo di ricerca del consenso di Palazzo. Ebbene, molto concretamente, Berlusconi si riporta sulla scena politica con le mani libere che aveva dieci anni fa. Ha la chance di alimentare un progetto politico liberale, senza mediazioni. In economia può recuperare quell’ispirazione originaria che una certa pratica di governo ha compromesso, seguendo tre capisaldi.
1. Una ricetta liberista nei commerci. Nessuna tentazione «anti-mercatista» come oggi va di moda dire. Insomma riduzione drastica della pressione fiscale, generalizzata, per imprese e contribuenti. I cui effetti sulla crescita dell’economia sono benefici e ormai dimostrati.
2. Uno Stato meno ingombrante. Meno burocrazia, meno norme e meno adempimenti per la collettività. Non gettando al mare alcune buone ricette liberalizzatrici immaginate, ma non realizzate, dal governo Prodi. Ma estendendole all’intera società e non solo a specifiche corporazioni da punire.
3.

Una riforma del sistema pensionistico che disboschi i privilegi e soprattutto faccia i conti con un’Italia matura, in tutti i sensi. E che dunque non può permettersi il lusso di perdere forza lavoro cinquantenne.
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