Roma

Progetto utopistico (e non realizzato) per risollevare le sorti dell’Ater

L’obiettivo: recuperare l’originale finalità sociale

Prima le dure critiche alle Ater regionali per la gestione delle case popolari, poi la proposta di una specie di Piano Marshall per la salvaguardia e il rilancio di questo immenso patrimonio immobiliare e delle aziende stesse. Oltre a soffermarsi sui debiti degli ex Iacp e sulla questione svendopoli, il rapporto del Centro studi Cresme rimasto chiuso nei cassetti della commissione regionale Casa indica anche una serie di grandi obiettivi per il futuro, fondati su «attività di tipo strategico».
Obiettivi come un rigido accertamento degli effettivi valori di reddito familiare per determinare la collocazione nelle fasce di canone; un efficace programma di manutenzione degli immobili; un approccio «di tipo sociale, e non solo burocratico, nella gestione e in particolare nell’esazione dei crediti, con la creazione di unità operative specializzate nel monitoraggio delle situazioni familiari», da realizzarsi in collaborazione con i servizi sociali degli Enti locali per inserire le famiglie «nella rete sociale di supporto e di revisione socio-formativo-lavorativa dei Comuni e delle Province». L’indagine consiglia inoltre una revisione dell’attuale normativa, «con la riduzione della rigidità in tema di decadenza dal diritto all’abitazione sociale». Ma non è tutto: «Nelle Ater del Lazio - si legge qualche riga dopo - risultano quindi delle difficoltà storiche, di adeguamento dell’organizzazione e della cultura aziendale». E «sarebbe pertanto auspicabile un piano di investimenti nell’organizzazione, nei sistemi informativi, nelle competenze professionali del personale». Un progetto che addirittura non dovrebbe escludere a priori la possibilità di fusioni e accorpamenti tra le Ater, per creare economie di scala nei costi e negli investimenti e per ottimizzare la gestione del patrimonio.
Ma per avviare quella che appare una rivoluzione copernicana, conclude il Cresme, non si può prescindere da «un piano di dismissione degli alloggi a valori sociali i cui destinatari, in una prima fase, potrebbero essere coloro che sono ormai fuori dai limiti delle abitazioni di edilizia residenziale pubblica»: dodicimila famiglie, per entrate pari a circa 1,2 miliardi di euro. Un’alienazione che dovrebbe fornire le risorse per un ambizioso piano di edilizia sociale - in una fase segnata dall'emergenza casa e dalle insufficienti risposte fornite in merito da Comune, Provincia e Regione - con la «creazione di un parco residenziale con caratteristiche di maggiore mobilità rispetto a quello attuale e a canoni moderati». Con quali strumenti? Attraverso un utilizzo della leva finanziaria in aggiunta alla finanza pubblica. E dalla realizzazione di operazioni miste: costruzioni di abitazioni da affittare a canoni sociali ma anche di uffici, alloggi e spazi commerciali da proporre liberamente sul mercato. Operazioni che determinerebbero «condizioni economico-finanziarie per svolgere a pieno titolo - da parte degli ex Iacp - la funzione sociale di tipo residenziale».

Proprio per recuperare l’originaria finalità sociale, in sintesi, le Ater dovrebbero trasformarsi in aziende moderne, gestite con criteri manageriali e di libera impresa: un’utopia insomma.

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