Il signor Dario Pirelli si chiama davvero Pirelli. Cioè: non è che prima si chiamasse Brambilla o Caruso, e che abbia poi astutamente deciso di cambiarsi cognome per rubare clienti alle famose gomme da auto. Semplicemente, qualche tempo fa, ha pensato di mettersi anche lui in affari, e proprio nel settore degli pneumatici. E va a sapere se dentro di sè covasse il proposito di mettere in qualche modo a profitto la propria omonimia con la famosa dinastia di industriali milanesi, o se invece seguisse liberamente un proprio istinto imprenditoriale.
Sta di fatto che la Pirelli, quella grossa, si è arrabbiata di brutto. E ha accusato il signor Dario di volersi arricchire a scrocco del marchio più celebre. Sono partite le carte bollate. Nel frattempo, il signor Dario aveva anche registrato all'ufficio brevetti i suoi marchi di fabbrica, la «Danilo Pirelli Design», pensando forse di mettersi così al riparo da eventuali pretese degli ingombranti omonimi. Niente da fare, anzi la Pirelli gli ha fatto causa anche per i marchi registrati: abusivamente, secondo gli avvocati del colosso milanese.
E alla fine Davide ha dovuto soccombere a Golìa: il tribunale civile di Roma, con una sentenza pubblicata ieri, ha dichiarato che i marchi «Danilo Pirelli Design» «costitusce contraffazione dei marchi "Pirelli"», «dichiara la nullità dei marchi "Danilo Pirelli"», «inibisce a Pirelli Danilo l'uso, in ogni modo, anche pubblicitario o promozionale, del segno "Pirelli" per contraddistinguere propri prodotti e servizi», «dispone il ritiro dal commercio e la distruzione di prodotti e materiale pubblicitario recanti il segno "Pirelli"».
Insomma, una batosta. Però su un punto i giudici sono stati indulgenti: sulla carta di identità, il signor Pirelli potrà continuare a chiamarsi Pirelli.