Prodi ha ricevuto a Palazzo Chigi Mussi, Diliberto e Giordano e li ha rassicurati sul fatto che le decisioni di politica economica saranno prese collegialmente. Tre mesi fa Prodi aveva definito 12 punti, «irrinunciabili
» ricordate, per riparare
gli errori depressivi fatti nella Finanziaria
del 2006. Ora se li è rimangiati
tornando alla linea di
concedere all'estrema sinistra
dosi di statalismo in cambiodi sostegno.
Pertanto dobbiamo
aspettarci una Finanziaria 2007
che non riparerà alcunché e che
perfino peggiorerà la crisi di
competitività dell'Italia.
Il punto
è che non possiamo più permettercelo.
Non è catastrofismo lirico. Proprio
perché l'Italia è un sistema
economico forte, molto capitalizzato
sul piano dei risparmi e patrimoni
delle famiglie, ha finora
retto un carico di inefficienza
economica che avrebbe steso un
qualsiasi Paese normale. Ma c'è
un limite. Come quello nelle auto
sportive: tengono in curva fino a
limiti impensabili, ciò spinge il
guidatore a toccarli e poi, improvvisamente,
si carambola.
Siamo vicinissimi al limite. I redditi
sono drenati da costi fiscali e
sistemici troppo elevati ed il margine
per i consumi interni ed i risparmi si
sta erodendo. Le imprese
hanno carichi fiscali superiori
a qualsiasi altra nazione comparabile.
Sulla carta la tassazione
effettiva viaggia dal 45 al 50%,
nella realtà arriva ben oltre.
I costi
energetici sono superiori del
20% alla media europea, quelli
logistici sono paurosi per l'inefficienza
dei trasporti. I vincoli europei
ci impediscono investimenti
di rilancio in deficit. La politica
monetaria della Bce non lascia
spazio a svalutazioni competitive
che favoriscano le esportazioni.
In generale, la cessione di sovranità
economica all'Europa
implica stabilità monetaria e credibilità,
ma al prezzo di un enormesforzo
di efficienza competitiva
per restarci. Infatti il recupero
di efficienza riducendo costi sistemici,
burocratici e fiscali ed incrementando
la competitività
delle imprese è l'unica politica
economica possibile per restare
in strada. Se non la si fa, si va
fuori.
Dove il fuori significa doverabbandonare
l'euro per ridare
competitività alle imprese e ripagare
il debito abbattendo il valore
della moneta. Oppure restare
nell'euro ed accettare l'impoverimento
strutturale della nazione.
Ma ciò implicherebbe la
secessione del Nord produttivo.
In sintesi, c'è una sola politica
economica, ripeto,chepuòtenerci
in strada: ridurre le tasse e la
spesa pubblica con passi graduati
in relazione all'esigenza di
mantenere redditi e pensioni ad
un livello di stabilità.
La Germania
ha preso questa via, la Francia
seguirà presto. L'Italia, mia
stima condivisa da parecchi colleghi,
è a circa 5 anni dal limite
di crollo e resta sulla strada opposta.
Con la complicazione che la
crescita corrente, indotta dal
boom globale, è considerata un
motivo per rimandare le scelte
necessarie mentre la struttura
economica interna sta in realtà
peggiorando.
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