«Pronto a difendere la milanesità» Le nuove sfide di Enrico Beruschi

L’attore: «Ora penso alla commedia dialettale». A fine gennaio debutterà come regista lirico

Viviana Persiani

Chi associa Enrico Beruschi solo al cabaret, fa un errore grossolano. A sentir parlare l’artista milanese, infatti, c’è di che rimanere a bocca aperta davanti al frullare di idee, sfide, sogni che alimentano una carriera che ha ancora molto da dire. Opere liriche, commedie dialettali, televisione, conduzione di programmi: il ragioniere diplomato, nel 1960, al Carlo Cattaneo, da buon meneghino, non è certo uno da stare con le mani in mano. Anzi, invece che vivere di rendita, cerca di misurarsi con esperienze artistiche nuove, che lo mettano in discussione. «In questo assomiglio a mio padre - ricorda Beruschi -, che amava sognare, programmare, progettare. Rispetto a lui, che è mancato prima del tempo, ho avuto la fortuna di vedere realizzate molte delle mie aspirazioni».
Tra i suoi progetti in cantiere, vi è quello di una commedia dialettale milanese. A che punto è?
«S’intitola Quel tranviere chiamato desiderio, un testo scritto da Sergio Cosentino, giunto al suo terzo lavoro drammaturgico. Questa primavera contiamo di portare in scena la versione teatrale tradotta in dialetto milanese».
Di cosa parla?
«Racconta di due fratellastri, uno che vive in Italia, l’altro in Svizzera. Alvaro è quello con la testa sulle spalle ma l’arrivo improvviso di Franco, scapestrato e con poca voglia di fare, gli cambierà non poco la vita. Soprattutto, quando farà il suo ingresso Luisa, la ex governante di famiglia, che ha avuto, con entrambi, una storia d'amore. La donna porta in dote una figlia; il problema è che non si sa chi sia il padre».
Come mai la scelta di tradurre il testo in milanese?
«Credo che la tradizione meneghina abbia bisogno, per sopravvivere, di più gente possibile disposta a diffonderla. In questo senso, da buon milanese, mi sento responsabilizzato».
Parliamo di questo suo desiderio di avvicinarsi all'opera lirica...
«Dopo essermi cimentato, nel passato, in ruoli cantati in operette e nella lirica, da quest’anno ho deciso di dedicarmi alla regia. Il 27 di gennaio debutterò, al teatro Marrucino di Chieti, con Il barbiere di Siviglia. La mia scelta è quella di ridurre al massimo le spese, in contrapposizione alla maestosità tipica delle rappresentazioni liriche; infatti, ho cercato di rendere tutto molto più semplice, essenziale, introducendo delle innovazioni. Sono contento perché saranno tre serate all'insegna del tutto esaurito. Vestirò, nell'occasione, anche i panni dell'Ambrogio, una presenza che non parla, non canta ma che è molto importante».
Su Telenova, l’abbiamo vista, fino a poco tempo fa, nei panni del presentatore. Un ritorno al suo grande amore?
«Dopo tredici anni, sono tornato a fare Tv, presentando la trasmissione Lista d'attesa. Ora è stata interrotta ma dopo aver riscosso consensi ed apprezzamenti, posso dire che mi hanno dato la patente di conduttore».
Le piacerebbe, quindi, continuare come presentatore?
«La mia massima aspirazione sarebbe quella di condurre un programma milanese».
E i reality tanto bistrattati dalla critica ma non dal pubblico?
«Anch’io non sono un amante di questo genere televisivo ma se mi proponessero di partecipare ad una di queste trasmissioni, come concorrente, opterei per La fattoria.

Anche se la mia trasmissione preferita è Ballando sotto le stelle.
C’è qualcuno che in famiglia ha seguito le sue orme?
«Filippo, che ha una passione per la regia, è andato in America a studiare. Ora è in attesa di realizzarsi in campo cinematografico o musicale».

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