Prospero si è perso tra le marionette

La compagnia del Teatro dell’Elfo porta in scena un originale allestimento della «Tempesta» shakespeariana pensato da Francesco Frongia e Ferdinando Bruni

Laura Novelli

Quando, oltre venti anni fa, Eduardo De Filippo decise di tradurre un’opera di Shakespeare pensò a La Tempesta. E, come lui stesso spiega nella nota conclusiva del relativo volume (pubblicato da Einaudi nell’83), le motivazioni di tale scelta stanno nella «tolleranza» e nella «benevolenza» sottese alla trama. Scrive il grande drammaturgo napoletano: «Sebbene sia stato trattato in modo indegno da suo fratello, dal re di Napoli e da Sebastiano, Prospero non cerca la vendetta bensì il pentimento. Quale insegnamento più attuale avrebbe potuto dare un artista all’uomo di oggi, che in nome di una religione o di un ideale ammazza e commette crudeltà inaudite?»
Parole che suonano profetiche e che, di questi tempi, rafforzano l’attualità del messaggio shakespeariano, ponendo interrogativi ai quali chissà se riusciremo mai a dare una risposta. Dunque non è semplicemente un caso che proprio su questa idea di perdono e di pentimento «laico» insista l’originale allestimento della commedia inglese proposto ora al Piccolo Eliseo (debutto atteso per questa sera) dal Teatro dell’Elfo di Milano. La coralità dell’impianto originale cede qui alla scrittura di un monologo pensato da Francesco Frongia e Ferdinando Bruni in cui lo stesso Bruni si accolla il compito di interpretare Prospero e di dialogare con uno stuolo di marionette, burattini e fantocci (creati dall’artista siculo-bergamasco Giovanni De Francesco) che hanno i nomi di tutti gli altri personaggi. La giovane Miranda e il suo innamorato Ferdinando sembrano esili figure del Bunraku giapponese; i marinai Trinculo e Stefano possiedono la plastica agilità di due burattini a guanto che, tra l’altro, parlano in dialetto salentino; Ariel e Calibano diventano le due anime/burattino, opposte ma complementari, dello stesso padrone dell’isola: lieve e spirituale la prima, cupa e terrena la seconda. Come d’altronde è la vita stessa: continua rincorsa di lacrime e sorrisi che nel teatro trova uno specchio fedele e tristemente credibile. Opera della piena maturità, La Tempesta è infatti anche una grande metafora del teatro, un addio alle illusorie velleità di quel palcoscenico/mondo dove tutto sembra possibile, un commiato malinconico dalla finzione e dalla magia della scena. «Tutto si compie - spiegano gli autori del lavoro -, si chiudono i conti, si rimarginano le ferite, si garantisce che il miracolo dell’amore perpetui la vita dopo di noi e si lascia che le cose finalmente fluiscano via, che le tempeste si plachino».


E sarà la musica, elaborata da tre musicisti di notevole livello quali Mauro Ermanno Giovanardi, Fabio Barovero e Gionata Bettini, a sostenere con vigore questo adagio. Questo impasto di sogno e realtà che, ancora una volta, arriva dal passato per parlarci, con linguaggio visionario e moderno, dell’oggi.
Repliche fino al 13 aprile. Informazioni: 06/4882114.

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