Una protesi d'anca personalizzata sulle misure anatomiche del paziente, un grande obiettivo dei chirurghi ortopedici, un sogno che oggi è una realtà. Nei primi anni Settanta le protesi d'anca cementate erano poche migliaia, oggi sono 120mila i pazienti che ogni anno riacquistano mobilità e smettono di soffrire grazie a questo intervento. Pazienti che recuperano un'elevata qualità di vita, con una sopravvivenza degli impianti che supera il 90% a dieci anni.
L'intervento di sostituzione protesica dell'anca costituisce oggi un'efficace soluzione biomeccanica a gravi patologie articolari. Il chirurgo dispone di tecniche operatorie sempre più affinate che offrono maggiore sicurezza e un grande risparmio delle strutture anatomiche. Gli interventi di sostituzione protesica dell'anca possono essere classificati in tre tipologie: la sostituzione totale o artroprotesi, che prevede di intervenire su entrambe le componenti articolari, femorale e acetabolare; la sostituzione parziale, comunemente indicata con il termine endoprotesi,riservata al trattamento delle fratture mediali del collo del femore, che permette di preservare l'acetabolo; la revisione, o riprotesizzazione, che prevede la sostituzione di un dispositivo precedentemente impiantato.
Oggi le metodiche più innovative cercano di rispettare le reali esigenze del paziente. Si cerca di costruire un abito su misura. Parliamo di questi progressi con il professor Antonio Croce, l'ortopedico che ha contribuito in modo sostanziale alla diffusione di questi interventi. Da pochi mesi, dopo essere stato per 30 anni al Gaetano Pini, è direttore del reparto ci chirurgia artrosica e riparativa al Galeazzi di Milano, un Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico.
«L'anatomia del femore presenta valori assai differenti tra loro. Spesso vengono protesizzate articolazioni con misure di varo - valgo e anti - retroverso del collo femorale al di fuori dei valori fisiologici. Questa variabilità di parametri dei femori è maggiore rispetto a quella offerta dagli steli protesici a collo fisso. Per questa ragione si deve adattare il femore alla geometria dello stelo. L'obiettivo che ci si è posti negli ultimi anni è esattamente il contrario: adattare lo stelo protesico all'anatomia del paziente. Un tentativo di raggiungere questo target è stato effettuato negli anni '90 con l'impiego di protesi custom-made, protesi realizzate dopo uno studio della morfologia del canale femorale e prodotte in un unico modello in base alle specifiche del singolo paziente. Questi impianti avevano un costo elevato di realizzazione ed erano di non facile introduzione nel canale femorale a causa delle diverse forme degli steli dettate dalla progettazione. Le difficoltà sono state superate grazie al sempre più frequente utilizzo di protesi a collo modulare. Il collo - spiega il professor Croce - rappresenta la componente extramidollare a cui sono affidate la stabilità e la funzionalità dell'articolazione; l'orientamento del collo ha conseguenze determinanti sulla ripartizione delle forze e sulle sollecitazioni meccaniche. I colli modulari hanno un follow up di più di venti anni. Il professor Croce ha organizzato corsi di formazione per oltre 800 specialisti sulle protesi d'anca. «Un aspetto fondamentale - ha precisato nei suoi interventi - è il controllo radiografico intraoperatorio, che va effettuato di routine perché consente di verificare il corretto posizionamento delle componenti di prova, che successivamente verranno sostituite con quelle definitive, ed il giusto ripristino dei parametri fisiologici». Il controllo radiografico intraoperatorio, di grande utilità, sembra essere applicato da non più del 20 per cento dei chirurghi ortopedici che eseguono le protesi d'anca. È una metodica che si sta diffondendo, ma forse troppo lentamente.
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