Le notizie peggiori sono quelle che arrivano come fulmini a ciel sereno. Tale è stata la comunicazione che il maestro Riccardo Muti rinunciava alla sua collaborazione con il Teatro dell'Opera di Roma. In una lettera indirizzata al sindaco di Roma-presidente Ignazio Marino e al sovrintendente del Teatro dell'Opera Carlo Fuortes, il Maestro ha sottolineato come non ci siano «le condizioni per poter garantire quella serenità per me necessaria al buon esito delle rappresentazioni». Una decisione sofferta, presa «con grandissimo dispiacere, dopo lunghi e tormentati pensieri», una decisione che lascia il Teatro dell'Opera senza il suo «Direttore musicale a vita». Un musicista che non ha certo bisogno di presentare il suo stato di servizio per essere accolto nei maggiori teatri e istituzioni musicali del mondo. Pesantissimo il danno artistico e d'immagine per la città di Roma e il suo sindaco, che incassa l'ennesimo duro colpo, per quanto assestato con grande classe.
Motivo della decisione di Muti: il «perdurare delle problematiche emerse durante gli ultimi tempi». Più chiaramente: le turbolenze sindacali che hanno inquinato il clima negli ultimi mesi (cancellazioni di recite a Caracalla con il tutto esaurito da parte del pubblico (...)
(...) e conseguente rimborso dei biglietti allo stesso). Senza dire delle defezioni con le rituali certificazioni mediche attestanti malesseri o malanni prima della qualificante trasferta in Giappone. Fatti che Muti sintetizza con eleganza, rammentando «la tristezza e la delusione di fronte a molti episodi vissuti». Il Maestro Muti ha aggiunto: «In questo momento intendo dedicarmi, in Italia, soprattutto ai giovani musicisti dell'Orchestra Cherubini da me fondata». In poche parole egli si vuole dedicare a chi fa musica con passione e non con esclusiva mentalità impiegatizia. Si capisce: i diritti vanno salvaguardati, ma bisogna pure - passi il brutto verbo - contestualizzare il momento che il mondo del lavoro italiano attraversa. Non possono esistere isole felici in un Paese dove non è assicurato il minimo, e in molti casi, anche questo, viene decurtato. Privilegi come le famigerate indennità richieste per lavoro non espletato fra le mura istituzionali - come se non fosse già un premio rappresentare il proprio teatro in altre sedi, senza disagi logistici e senza carichi di spese di viaggio e/o di trasporto - destano ormai soltanto raccapriccio.
Ma a riflettere meglio, la notizia clamorosa era quella che è stata davanti agli occhi di tutti nel corso degli ultimi sei anni: cioè il fatto stesso che un direttore d'orchestra della levatura di Riccardo Muti, prendesse per mano una fondazione-lirico sinfonica come il Teatro dell'Opera, conducendola a raccogliere una messe di riconoscimenti senza precedenti nella sua storia recente. Non che il teatro d'opera della Capitale non meritasse difensori della stoffa di Muti. Ma quanto è emerso negli ultimi anni nel mondo dell'opera, suggeriva che il «sistema» fosse al collasso. L'abbandono di Muti stesso ne è la certificazione. Alla fine degli anni Novanta, la sbandierata trasformazione degli Enti lirici (enti di diritto pubblico) in Fondazioni lirico-sinfoniche (organismi di diritto privato) non ha portato, nella maggioranza dei casi, alcun apporto privato significativo. In altre parole, parliamo di fondazioni di diritto privato, ma se non ci fosse lo Stato i teatri non aprirebbero neppure il portone. Siamo al cospetto di una soluzione anfibia, cioè all'italiana. Ogni ministro, incluso Dario Franceschini (che ieri ha detto di «capire» Muti), è costretto ad aprire i cordoni della borsa: ma le Fondazioni, in sostanza, non hanno mai raggiunto, salvo poche eccezioni, la stabilità economica e finanziaria.
Qualche altro piccolo schiarimento al lettore è doveroso. Chi ha l'onore e l'onere di governare un teatro si trova a dover rispettare un contratto nazionale, che però in ogni teatro è appesantito da accordi, cosiddetti aziendali, ormai fuori dal tempo. Se il pubblico sapesse con quali raffinate (non diciamo ridicole) perifrasi vengono immesse in busta paga simili integrazioni, non metterebbe più piede in un teatro o per lo meno ci penserebbe due volte quando si reca in biglietteria. Siamo d'accordo con le rivendicazioni che hanno senso e significato, ma non con i rigurgiti di privilegi antichi ancora sostenuti dalla parte meno produttiva dei teatri.
Attenzione: non
sottovalutiamo la portata della sofferta decisione del maestro Muti e non circoscriviamola a un disagio personale o locale. Riccardo Muti ci ha voluto ricordare che il mondo cambia. Ora spetta ad altri capire che si deve cambiare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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